Nell’ultimo Consiglio di guerra svoltosi alla Casa Bianca, la decisione era già stata presa: oltre 30mila nuovi soldati statunitensi partiranno alla volta dell’Afghanistan, con una prima tranche di essi che potrebbe sbarcare a Kabul già a gennaio. In mano al presidente Obama restano però almeno due questioni spinose: vincere lo scetticismo dell’opinione pubblica e dare alla missione internazionale in Afghanistan maggiore credibilità.
Secondo un sondaggio commissionato dalla CNN, il 52% degli americani è ormai fermamente contrario al prosieguo del conflitto; quasi quotidianamente le truppe a stelle e strisce devono registrare perdite di vite umane, e dopo otto anni le spese militari continuano a salire – si parla di un totale di 734 miliardi di dollari – senza risultati evidenti. Per l’amministrazione Obama sembra quindi arrivare il momento in cui far invertire la rotta.
L’entourage della Casa Bianca sta prendendo in considerazione l’ipotesi che il presidente effettui un discorso alla nazione in diretta tv, con martedi 1 dicembre come possibile data: l’intenzione di Obama è esporre al popolo americano la sua nuova strategia nella guerra al terrorismo internazionale, con la questione afghana in primissimo piano. “La mia intenzione – dichiara Obama – è finire il lavoro, smantellare e far scomparire Al Qaeda”.
“Dopo otto anni, nei quali spesso non abbiamo avuto le risorse e la strategia per concluderlo, la mia intenzione è finire questo lavoro”. La tanto attesa exit strategy che l’America aspetta da tempo per risolvere la questione-Afghanistan potrebbe quindi diventare realtà. Ma c’è da fare i conti con le resistenze interne allo stesso Partito Democratico: per Nancy Pelosi, speaker della Camera ed esponente di spicco del partito, il rischio è che ciò comporti una sgradita e controproducente escalation del conflitto; dello stesso avviso il vicepresidente Joe Biden, scettico anche solo sull’invio di nuove truppe a Kabul.
I prossimi giorni risulteranno decisivi ai fini della definizione delle future mosse di Barack Obama, tra l’altro atteso il 10 dicembre ad Oslo per il ritiro del Premio Nobel per la Pace. Premio la cui consegna non poteva arrivare in un momento più delicato. Gli occhi dell’America e del mondo lo guarderanno con spirito ancora maggiormente critico.
Daniele Ciprari