Mafia, politica e pentiti: che fine faranno i processi sulle stragi degli anni ’90?

falcone_borsellinoVenerdì scorso il pentito Gaspare Spatuzza, sentito dai magistrati palermitani a Torino, ha fatto delle rivelazioni che, se attendibili, destabilizzerebbero alle basi il potere politico che ha governato il Paese quasi ininterottamente negli ultimi vent’anni, dall’allora Partito Socialista Italiano fino alle trasformazioni che hanno portato alla nascita di Forza Italia prima e del PdL poi.
Venerdì prossimo, collegati in videoconferenza, parleranno, se parleranno, i fratelli Graviano, cui Spatuzza ha detto di essere ancora legato da vincoli di stima e di amicizia.

Certamente le parole di un pentito non possono, e non devono, essere prese per vere a prescindere. E in questo sta il difficile compito che attende la magistratura, chiamata, dopo aver concesso a Spatuzza il regime definitivo di protezione, a valutare l’attendibilità delle rivelazioni del pentito.
Ed è questa l’unica chiave di lettura possibile per interpretare l’atteggiamento dell’opposizione, dall’ala moderata del PD fino all’area più radicale della Federazione della Sinistra passando per l’Idv di Di Pietro, che ha constatato la gravità delle parole di Spatuzza, chiedendo però di aspettare che i magistrati facciano il loro lavoro.
Preoccupa però, soprattutto da parte dei politici come Violante che si sono di fatto espressi a difesa del Governo, quando questo doveroso atteggiamento istituzionale finisce per permettere alla maggioranza di sparare a zero sulla magistratura stessa.

Dice la maggioranza che non è accettabile prendere in considerazione le parole di un uomo che ammette candidamente di essere responsabile di diverse stragi e oltre quaranta omicidi. Ci si dovrebbe ricordare, però, che, alla fine degli anni ’80, Giovanni Falcone pose le basi del maxi-processo (360 condanne che rappresentarono il primo colpo mortale inflitto dallo Stato alla “Cupola”), riuscendo a far collaborare con la giustizia Tommaso Buscetta che, certo, non era uno stinco di santo. Buscetta che, tra l’altro, non si pentì mai dei delitti commessi, auspicando la morte di Cosa Nostra solo perché questa aveva perso i “valori” in cui lui si riconosceva.

Dice, la maggioranza, che non bisogna chiedere a Dell’Utri e Berlusconi di rispondere alle infamanti accuse di Spatuzza perché, altrimenti, si rischia di costruire un nuovo “caso Andreotti”. Si dovrebbero però ricordare, i signori della maggioranza, che Andreotti non è mai stato assolto. La Corte, con la sentenza definitiva del 2003, ha ritenuto che il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso è stato “commesso fino alla primavera del 1980″. Il senatore non è stato condannato semplicemente perché il “reato di associazione per delinquere di tipo mafioso” è stato introdotto solo nel 1982 grazie al parlamentare del Partito Comunista Italiano Pio La Torre, e quindi dopo i fatti accertati dalla sentenza.

Dice, poi, la maggioranza che la mafia, attraverso Spatuzza, vuole colpire il Governo perché il Governo sta colpendo la mafia. Peccato che l’elemento fondamentale della vicenda non sia il “perché” delle dichiarazioni di Spatuzza e, se ci saranno, dei Graviano, quanto piuttosto sapere se tali dichiarazioni corrispondono alla verità.

Come ha scritto ieri in un interessante editoriale su Repubblica Eugenio Scalfari, la lotta in questione non è fra il Governo e la Mafia, ma fra lo Stato, che deve essere incarnato dalla magistratura, e la criminalità organizzata, si annidi essa fra i borghi siciliani o fra i palazzi del potere di Roma.
Dice, questa volta il sindacato autonomo di polizia Coisp, rivendicando l’arresto di sabato dei due superlatitanti di Cosa Nostra: “un nuovo straordinario successo della polizia e della polizia soltanto […] e non del Governo che si appropria di meriti non suoi, e che anzi ostacola nei fatti, con i tagli alle risorse, il contrasto alla criminalita’ organizzata”.

Mattia Nesti