Segreto di Stato sull’archivio Pollari/Pompa.

segretoE’ il 5 luglio del 2006 quando la Digos sequestra l’archivio riservato del Sismi nell’ufficio di via Nazionale 230 a Roma, gestito dall’analista Pio Pompa, uomo di fiducia dell’allora direttore del Niccolò Pollari. L’archvio conteneva varie schedature e vere e proprie azioni di spionaggio nei confronti di giornalisti, magistrati e politici di opposizione, ovvero invisi al governo Berlusconi.

Operazioni che i servizi segreti svolgono da sempre, ma Pollari e Pompa sono andati oltre, così oggi si trovano inquisiti davanti alla Procura di Perugia con due gravi reati contestati dal pm Sergio Sottani: peculato per aver distratto “somme di denaro, risorse umane e materiale” per fini diversi da quelli istituzionalmente riconosciuti ai servizi, come per esempio la redazione di “analisi sulle presunte opinione politiche, sui contatti e sulle iniziative di magistrati, funzionari dello Stato, associazioni di magistrati, anche europei, giornalisti e parlamentari. In pratica hanno usato denaro dei contribuenti per sondare il terreno tra una lista di uomini ‘scomodi’ al governo Berlusconi dell’epoca. Il secondo reato contestato dal pm umbro è quello di indebita intrusione nella vita privata delle persone schedate.

Si apprende ieri dall’articolo di Marco Travaglio su ‘Il fatto quotidiano’ che i due imputati sono stati ‘salvati’ e potranno quindi rifiutarsi di rispondere ai magistrati: quell’archivio segreto raccolto senza nessuna finalità per i cittadini, ma creato al solo scopo di spiare gli uomini non ‘omologati’ al sistema governo, è da ritenersi “autorizzato dal Presidente del Consiglio dei Ministri“. Insomma, schedare e spiare giornalisti, magistrati e politici di opposizione è indispensabile alle finalità istituzionali dei servizi segreti.

Così gli avvocati Coppi e Titta Madia hanno potuto opporre il segreto di Stato sulle informazioni ricercate dalla Procura di Perugia per continuare l’indagine sui reati contestati. Per Pollari tutte le questioni sono coperte da Segreto di Stato, quello stesso segreto di Stato che lo ho già salvato dal processo a Milano per il sequestro di Abu Omar, dove in primo grado sono stati condannati venti agenti CIA insieme allo stesso Pio Pompa (3 anni) ed al giornalista Renato Farina, meglio conosciuto tra i servizi come agente Betulla, che ha patteggiato 6 mesi. Renato Farina è stato ovviamente promosso alla Camera come deputato PDL e continua a pontificare dalle colonne de ‘Il Giornale’ di Vittorio Feltri.

Berlusconi mette il timbro Top secret sulla lista Pollari/Pompa i quali sono in buoni rapporti anche con Massimo D’Alema, il quale è, ovviamente, il candidato più quotato per la successione al COPASIR, il comitato di controllo sui servizi segreti, dopo le dimissioni di Francesco Rutelli.

Il lider Massimo inizia i rapporti coi top secret agli albori della sua carriera politica, mentre si sposta nei meandri del Pds come numero due di Achille Occhetto. Poi nel 2006, in qualità di vice-premier e Ministro degli esteri siede a tutte le riunioni sulla riforma dei servizi segreti. In quegli stessi giorni scoppia il caso Pollari sul sequestro Abu Omar e sulle schedature di cui parlavamo poco prima, ma D’Alema non dice mai una parola su Pollari, se non di apprezzamento. Arriviamo al dunque della questione D’Alema: sul segreto di Stato, l’unico ente che potrebbe ribaltarlo è il COPASIR, inviando una relazione motivata al Parlamento. Se D’Alema assumerà il comando del comitato di controllo sui servizi segreti, vista la stima più volte attesta al direttore Pollari, difficilmente si potrà continuare ad indagare su quella lista di veline anonime che individuavano gli avversari del premier da ‘disarticolare’, ‘neutralizzare’, ‘ridimensionare’ e ‘dissuadere’ anche con ‘provvedimenti’ e ‘misure traumatiche’.

Non è un caso infatti che da quella lista escano nomi di personaggi silurati in questi giorni a livello mediatico come lo stesso Marco Travaglio, i magistrati antimafia Ingroia e Scarpinato, giusto per citare i più colpiti ed in vista. Senza dimenticare poi firme come quelle di Peter Gomez, Gianni Barbacetto, Sandro Ruotolo e i due giornalisti di Repubblica D’avanzo e Bonini, i quali sarebbero stati addirittura pedinati.

Luca Rinaldi