Ciancimino jr continua a fornire informazioni (tutte da verificare) sulle dinamiche che portarono all’ arresto di Riina; cattura che, secondo quanto riferito dal figlio dell’ex sindaco palermitano, passò attraverso il patto siglato da Bernardo Provenzano e i carabinieri del Ros e la mediazione dello stesso Don Vito.
“Una delle garanzie che mio padre chiese ai carabinieri – ha ricordato Massimo – e che loro diedero a mio padre, era che nel momento in cui si arrestava Riina bisognava mettere al sicuro un patrimonio di documentazione che il boss custodiva nella sua villa. Provenzano riferì a mio padre – ha continuato – che Totò Riina conservava carte e documenti di proposito con un obiettivo: se l’avessero arrestato avrebbero trovato tante di quelle cose, di quelle carte, che avrebbero fatto crollare l’Italia“.
La mancata perquisizione del covo – è la tesi di Ciancimino jr – allontanò poi il pericolo che tali compromettanti scoperte venissero fatte. E sui protagonisti della trattiva, ha aggiunto: “Se in un primo momento Totò Riina è stato un terminale della trattativa per fermare le bombe, dopo la strage Borsellino è diventato invece l’obiettivo della trattativa stessa”.
Le rivelazioni di Ciancimino non si fermano qui. Nel 1993, ha ricordato il figlio di Vito, la trattativa proseguì e coinvolse un nuovo personaggio: Marcello Dell’Utri, investito del ruolo che era stato attribuito all’ex sindaco di Palermo (ormai in carcere). “Mio padre – ha riferito ancora Massimo – sosteneva che era l’unico a poter gestire una situazione simile. Aveva gestito soldi che appartenevano a Stefano Bontate e a persone a lui legate”.
E sul famoso “pizzino” in cui Bernardo Provenzano faceva riferimento “a un amico senatore e al nuovo Presidente per l’amnistia”, Ciancimino jr ha confermato quanto precedentemente reso alla magistratura: dietro le due cariche vanno riconosciute le persone di Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro. Anche su quest’ultimo, il ricordo del figlio di Don Vito si fa vivo e puntuale: “Quando accompagnavo mio padre dall’ onorevole Lima – ha detto Massimo – fuori dalla macchina aspettava pure, con me, Cuffaro e anche Renato Schifani che faceva l’autista al senatore La Loggia. Diciamo che i tre autisti eravamo questi”.
” Andavamo a prendere cose al bar per passare tempo. Ovviamente, loro due: Cuffaro e Schifani, hanno fatto altre carriere: c’è chi è più fortunato nella vita – ha concluso il filgio di Don Vito – e chi meno; ma tutti e tre una volta eravamo autisti”.
Maria Saporito