Fruscio di vento solare, crepitii, e poi un suono regolare, quasi il battito di un cuore umano di due stelle lontane che hanno concluso ormai la loro esistenza: questo e molto altro è stato quello che è stato trasmesso in diretta da un radiotelescopio nell’Auditorium Parco della Musica di Roma alla prima italiana del concerto “Il nero delle stelle“,dal 15 al 16 gennaio, sul filo del racconto dell’astrofisica Margherita Hack e con l’accompagnamento e l’interpretazione di sei percussionisti.
La Hack si è detta felice della partecipazione a questo evento, anche se non è la prima volta che partecipa a spettacoli scientifici, cosa che fa sempre volentieri perchè è per lei “sempre un bene far capire che cos’é la scienza” alle persone.
Il concerto è stato uno degli eventi di punta del Festival delle Scienze di Roma, prodotto dalla Fondazione Musica per Roma assieme alla Finanziaria per lo sviluppo della Regione Lazio (Filas) e Telecom Italia.
Il concerto si è basato sulla commistione di musica , racconto e scienza: i sei percussionisti del Parco della Musica Contemporanea Ensemble si sono dislocati ai lati del teatro, immergendo letterariamente il pubblico con la musica scritta da Gerard Grisey, con l’originale combinazione di note, ritmi e tonalità assieme ai suoni emessi dalle stelle Vela e 0329+54, trasmessi in diretta nel teatro tramite il radiotelescopio di Medicina (Bologna) dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, l’Inaf.
Entrambe le stelle sono pulsar, ovvero stelle che si formano dopo che collassano completando il proprio ciclo vitale ed esplodendo in supernove.
L’astrofisica Margherita Hack, che ha dedicato la sua vita allo studio dell’evoluzione stellare, spiega che queste stelle sono come bombe, che non distruggono ma diffondono nel nostro universo elementi fondamentali per formare altri corpi celesti e la vita stessa. Quel che rimane di queste esplosioni è un piccolo nucleo molto denso, del diametro di circa 10-20 chilometri, ma talmente compatto che anche solo un cucchiaino di questa materia peserebbe tonnellate. Il nome, pulsar, deriva dall’incredibile velocità di rotazione di questi corpi celesti, rotazione che emette ogni tipo di radiazione, onde radio comprese.
Le due stelle pulsar, distanti dalla terra centinaia di anni luce, si sono tramutate in quest’occasione in due veri e propri strumenti che hanno mandato suoni in forma di crepitii regolari, tramutati poi in musica.
Rossella Lalli