A volte le storie da raccontare sono talmente assurde che riescono a farci mettere da parte anche le arrabbiature che inevitabilmente scaturiscono quando si viene a conoscenza di ceri fatti. A Empoli un negoziante locale aveva esposto un cartello che recitava così: “Vietato ai cinesi se non parlano italiano”. “aveva”, perchè la polizia locale ha provveduto immediatamente a farglielo togliere, anche a seguito delle proteste dei vicini e dei passanti; paradossalmente non si hanno notizie di lamentele da parte degli stessi cinesi. L’iniziativa, un po’ inquietante, ha nel suo seguito assunto risvolti estremamente comici: un altro cartello di fattura simile è stato esposto “in faccia” ha quello incriminato, al puro scopo di fargli il verso :”Vietato l’ingresso agli americani che non parlano polacco, agli svedesi che non parlano spagnolo e agli svizzeri che non parlano arabo”.
Eppure c’è poco da ridere: il commerciante che è stato da più parti accusato di razzismo, si difende sostenendo in modo assoluto di non essere nè razzista nè di aver mai discriminato nessuno, ma che ” il problema è l’educazione”.
La tesi del commerciante 63enne, proprietario di un negozio di abbigliamento, si basa sul fatto che, a suo dire, i cinesi entrerebbero nel suo negozio per provare i vestiti, vedere e copiare la cuciture per poi riproporle ( probabilmente a costo molto più basso) sui capi di loro produzione:
Venerdì scorso sono venuti due cinesi. Hanno provato numerosi capi, mi hanno anche fatto smontare un manichino – ha raccontato l’uomo – Naturalmente mi hanno detto subito ‘non parlale italiano’. Alla fine, puntualmente, non hanno comprato nulla. Poi, quando se ne stavano andando, hanno incontrato una famiglia di italiani e li hanno salutati e ci si sono messi a parlare. Ho chiesto a queste persone se li conoscevano. Risposta: ‘Sì, sono proprietari di una confezione. L’italiano? Certo che lo parlano’. Mi sono sentito preso in giro. Ecco perché mi sono arrabbiato. E sabato ho affisso il cartello. I clienti sono dalla mia parte. Da quando ho affisso il cartello, i cinesi non sono più entrati: ma se non sanno l’italiano come”.
Chi si è preso la briga di difendere la comunità cinese, Carlo Tempesti, delegato del Circondario Empolese Valdelsa per le politiche dei migranti, ha però ribattuto che “La tesi che copiano i capi d’abbigliamento proprio non sta in piedi. I cinesi sanno come si cuce.”
Tra tutto, la cosa più straordinaria è che il cartello contro i cinesi che non parlano italiano è stato scritto appunto in italiano. Ci si chiede quindi a chi sia rivolto lo strano divieto: chi non parla l’italiano, ma sa leggerlo può entrare ( e magari copiare)? e chi lo parla ma non lo sa leggere? quest’ultimo entrerebbe comunque visto che non sa leggere l’italiano e non capirebbe ciò che c’è scritto, ma l’importante è che sappia parlarlo; parlare l’italiano equivale infatti al fatto che un cinese che eventualmente entrasse nel negozio sicuramente non lo farebbe per copiare( o no?). Poi, sarebbero da considerare tutti i restanti casi, chi non legge e non parla, chi invece è in grado di fare entrambi, e tutto questo senza mettere di mezzo la scrittura. A questo punto, consigliamo al negoziante di scrivere un bel cartello, con il medesimo contenuto ( se proprio ci tiene), ma in lingua cinese, in modo da evitare spiacevoli fraintendimenti.
A.S.