Afghanistan: il rock dei Kabul Dreams per la pace

Far conoscere, attraverso la musica, la realtà dei giovani afgani ed esprimere un messaggio di pace in una terra martoriata dalle guerre.

Questa la missione dei Kabul Dreams, una rock band formata da tre giovani nel 2009 e che ora tenta di uscire fuori dai confini dell’Afghanistan per farsi conoscere ed apprezzare a livello mondiale. Il gruppo, composto dal cantante e chitarrista uzbeco Sulieman Qardash, dal bassista pashtun Siddique Ahmad e dal batterista Mujitaba Habibi, si fa portavoce dei sogni e della voglia di cambiamento di una generazione cresciuta tra i bombardamenti e in una società fin troppo conservatrice.

Una passione per la musica, quella dei Kabul Dreams, che li ha costretti a fuggire all’estero ai tempi del governo talebano e che oggi cerca di riproporsi  per dimostrare al mondo che l’Afghanistan non è solo un paese in guerra. In una recente intervista alla Bbc, il cantante Qardash ha descritto Kabul come una città attualmente “più libera” ma dove la potente presenza talebana è ancora motivo di preoccupazione per la band.

Al momento, i brani dei Kabul Dreams (tra i quali Sound of Peace&Love)sono i più trasmessi su Radio Rock, emittente radiofonica della capitale, e i tre ragazzi continuano a registrare nel loro studio tra le strade di Kabul. Il genere indie -rock suonato dal gruppo non è sicuramente ben visto dalla tradizionalista società afgana che non condivide neanche la loro decisione di scrivere e cantare i propri pezzi in lingua inglese. Ma grazie all’inglese e allo stile “occidentale” dei loro brani, i Kabul Dreams stanno riuscendo nella loro missione:  guadagnarsi le attenzioni del pubblico internazionale e varcare quelle barriere culturali esistenti nel loro paese.

Dalle immagini dei loro video promozionali non si direbbe che i Kabul Dreams siano una rock band afgana. Il loro look è simile a quello di qualsiasi gruppo europeo o americano ma la differenza la fanno gli scenari che popolano le loro esibizioni: le macerie dei palazzi bombardati di Kabul.

Stefano Valigi