Emanuela Orlandi, “Mario”: spiego ai magistrati il mistero

Roma, 4 maggio. Si riapre un periodo saliente dell’inchiesta che va avanti ormai da un trentennio, riguardo la misteriosa scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi, la quindicenne evidentemente sequestrata da ignoti, di cui non è mai stata trovata una vera traccia, e tantomeno (dettaglio che non è solo un dettaglio, visto che fa ben sperare, nella disperazione, la famiglia della giovane) il “corpo”, tra rispettose virgolette, dal momento che tutti coltiviamo la civile speranza interiore che non esista un corpo senza vita da qualche parte rimasto cui sia da attribuirsi il nome di Emanuela.

La ragazza di 15 anni scomparsa dopo l’uscita dalla scuola di una mattinata come le altre, quella del 22 giugno del 1983, per il momento costituisce ancora un mistero per tutti, mentre da molti anni ormai la tesi dell’allontanamento volontario e della momentanea o definitiva ribellione consapevole, sono le uniche ipotesi a non stare più in piedi. Chiunque nel meditare su simili prospettive, che pure nei primi giorni e mesi coinvolgevano tutti in una comune aspettativa di possibilità diplomatiche riguardanti la capacità di maturare nei rapporti di diplomazia con il mondo adolescenziale, dopo 27 anni di attesa e di speranze disilluse, si direbbe “diamine, se anche si trattasse di un genio delle sparizioni, ora che è adulta un colpo di telefono lo avrebbe fatto da tempo”.

Chi, dunque, è davvero responsabile dell’allontanamento da casa di Emanuela Orlandi, di cui dopo tanto tempo si è solo potuto parlare, senza avere il minimo valido indizio che portasse ad una vera pista, e non soltanto a nuovi dubbi? Nuovi dubbi come nel caso della considerazione delle misteriose circostanze che hanno riguardato la sepoltura di “Renatino”, uno dei Boss della banda della Magliana che al secolo rispondeva al nome di Enrico De Pedis. Morto alcuni anni fa, De Pedis, considerato uno dei maggiori indiziati sull’intera vicenda, è stato seppellito in Sant’Apollinare a Roma, onore che spetta a malapena ai benefattori dell’umanità ed agli artisti più noti che contribuirono a rendere grande il nome del Vaticano. Cosa ci fa un boss di malavita in una nobile tomba vaticana, essendo per di più l’accusato principe del rapimento di una cittadina dello Stato della Chiesa, avvenimento che tanto ha gettato nella disperazione Giovanni Paolo II, il quale, oltre a lanciare numerosi annunci pubblici, andò di persona nell’appartamento di famiglia a far visita ai parenti della ragazza scomparsa?

Singolare davvero, nella storia della Chiesa e della nazione, la faccenda oscura del seppellimento funerario di De Pedis, boss della più famigerata banda della malvivenza della capitale, e sospettato numero uno riguardo il rapimento e la possibile morte di Emanuela Orlandi. E’ proprio questo il “particolare” dell’intricata circostanza che, maggiormente rispetto a tutti gli altri, ha gettato ombra sul Vaticano, seminando terribili sospetti di complicità della Chiesa nel sequestro e nel mancato ritrovamento, come nell’intorbidimento delle indagini, delle quali a più riprese sono scomparsi diversi atti e documenti che sembrano esser stati di vitale importanza per il lavoro della procura.

E’ possibile che la Chiesa sia stata ricattata in qualche modo, in quel periodo, e che il sequestro sia stato un avvertimento da parte della malavita romana, o una conseguenza di accordi infranti? E che rapporti ci possono esser stati fra la Chiesa in quel periodo, e la banda della Magliana? Al vaglio degli inquirenti, come è ovvio, c’è stato di tutto, e sono state scandagliate a fondo, come è opportuno che sia, davvero tutte le ipotesi, fantasiose e meno, realistiche e meno, che del caso si possano architettare. Ma non è del tutto facile, come è lecito prevedere, condurre indagini ed arrivare a risultati concretamente producesti, quando è in ballo, a partire da un singolo caso di sequestro ed eventuale omicidio, talmente tanto da scuotere dalle fondamenta perfino il buon nome della prima istituzione religiosa del mondo occidentale.

Da dove mai si potrebbe partire, dove mai si potrebbe sperare di approdare, in una simile indagine? Neppure i più arditi gialli gotici o giuridici oserebbero avventurarsi in argomentazioni di tale portata. E qui dobbiamo formulare la supposizione che dà ragione, a sorpresa, al luogo comune: la realtà supera sempre la fantasia, nonostante tutte le possibilità di quest’ultima di spaziare ed inventare a man bassa, seppure rinunciando a tutti gli scrupoli di credibilità.

L’inchiesta del caso, che è ora condotta dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto procuratore Simona Maisto, ha per intanto  individuato altre due persone, che si aggiungono ai precedenti tre sospetti,  che avrebbero forse preso  parte al rapimento. I precedenti accusati erano  Sergio Virtù, 49 anni, autista e uomo di fiducia di De Pedis, Angelo Cassani, 49 anni, detto “Ciletto” e Gianfranco Cerboni, 47 anni, detto “Giggetto”.

A questi tre ormai “tradizionali” sospettati gli inquirenti erano arrivati esclusivamente grazie ad una supertestimone spuntata dopo tempo dall’inizio delle indagini: Sabrina Minardi, ex compagna del boss della banda della Magliana ormai scomparso, Enrico De Pedis, che ha dichiarato, nel collaborare con la Giustizia, di esser stata messa al corrente di molti intrecci gestiti dalla banda.

I magistrati della Procura di Roma che conducono attualmente l’inchiesta hanno in queste ore ascoltato  “Mario”, nome di fantasia che camuffa e difende il collaboratore, che sarebbe secondo le indagini svolte l’uomo che si presentò al telefono di casa Orlandi qualche giorno dopo la scomparsa di Emanuela.

Il cosiddetto Mario è considerato, insieme a Sabrina Minardi, testimone chiave dell’inchiesta, poiché la sua collaborazione, fin dalla prima telefonata, è stata volontaria, e gli  inquirenti ritengono fino a questo momento di poter supporre che l’uomo sia a conoscenza di tutta la vicenda che si è svolta a partire dal giugno del 1983, e che sia attendibile nelle sue dichiarazioni, senza esser personalmente da sospettarsi di qualche colpa al riguardo. Proprio “Mario” avrebbe raccontato ora finalmente in modo chiaro ed ufficiale ai magistrati, in questa fase del procedimento, i motivi per i quali i resti di Enrico De Pedis, circostanza della quale abbiamo parlato più sopra, siano  stati tumulati proprio in una cattedrale capitolina antica e gestita gelosamente dal Vaticano, come è il caso della chiesa di Sant’Apollinare a Roma.

In attesa di sapere anche  tutti noi, finalmente, la versione ufficiale almeno di come sia potuta avvenire una tale circostanza, a 20 anni dalla sua scomparsa, dal momento che la morte di Enrico de Pedis è avvenuta nell’ormai lontano 2 febbraio del 1990. Tra l’altro, si può far nota del fatto che la chiesa dove il boss della banda della Magliana è sepolto fa parte dello stesso complesso dove si trova la scuola di musica frequentata da Emanuela, dove la giovane era stata vista l’ultima volta, prima di sparire nella fitta nebbia che sembra non restituirla alle nostre possibilità di indagine neppure a quasi trent’anni di distanza.

Sandra Korshenrich