E’ oggi. E’ finalmente giunto l’election day, per i britannici, dopo una lunghissima e logorante campagna elettorale, per i tre aspiranti a Downing street. Sfociata poi nei seguitissimi confronti in diretta tv, quei “trielli” su SkyNews raggiunti a numeri ragguardevoli da tutto il mondo. I sondaggi pare dicano di un parlamento senza maggioranza assoluta, il cosiddetto hung parliament. I conservatives restano comunque in vantaggio, a battagliare coi laburisti.
Una vittoria di David Cameron, leader dei Tories, sembra essere infatti lo scenario plausibile. Seppur con una maggioranza piuttosto risicata: a tal proposito, su più fronti, la precarietà dell’esito ha incoraggiato ad un rimestio d’alleanze, e a un vagheggiare di voti “tattici”.
Mentre a destra s’invoca all’amicizia col partito Unionista, il ministro in carica per le Scuole Ed Balls, per dirne una, e quello per il Galles Peter Hain, hanno suggerito solo ieri agli elettori laburisti un di dare un voto strategico ai Lib-dem, il partito dell’outsider Nick Clegg. La lotta in alcuni collegi sarebbe “tra un candidato conservatore e tra un liberaldemocratico, i laburisti, pur di sbarrare la strada ai Tory, farebbero meglio a turarsi il naso e a votare lib-dem”.
E viceversa, ovvio: ”Voglio la vittoria di tutti i candidati laburisti, ma molti non sono nelle condizioni di vincere. Penso che sia importante che la gente agisca in maniera intelligente in queste elezioni”, parola del ministro Hain, alla Bbc.
A Brown, premier uscente e leader del centrosinistra britannico, la cosa piace poco. Di gran lunga, dice, preferirebbe “una maggioranza laburista“. Ma è dura. Specie se, come fanno notare dalla parte dei LiberalDemocratici, la strategia del voto tattico sarebbe sintomo di grossi problemi, fra i Lab.
Quanto a Cameron, per lui si tratterebbe di un voto regalato a Brown. ”Se volete che venerdì ci sia un governo che si tira su le maniche e inizia a fare ordine, allora dovete votare conservatore giovedì”, dice. Intanto si gode l’endorsement arrivato ieri dal Financial Times, dopo quello dell’Economist la scorsa settimana. In una vigilia tesissima, nella quale l’appello al “voto utile” sembra aver sparigliato le carte anche oltremanica.
Vincenzo Marino