La sindrome della stanchezza cronica esiste davvero

Quante volte sarà capitato di aver pensato male del collega che rifiutava di compiere una mansione con la scusa della stanchezza? Beh, sicuramente a qualcuno è capitato di trovarsi in una situazione simile: non bisogna dare giudizi immediati, perché c’è una buona probabilità che chi si lamenta di essere stanco non lo faccia solo per evitare di fare qualcosa, ma perché soffre della cosiddetta sindrome della stanchezza cronica (Cfs).

Solo in Italia questa patologia ha già colpito ben 300mila persone, delle quali la maggior parte è costituita da giovani.
Giacché questa patologia è spesso “snobbata” o addirittura sconosciuta, proprio oggi è stata celebrata la giornata nazionale della stanchezza cronica.

La patologia non è affatto leggera: chi ne soffre, infatti, è proprio impedito sia nel fisico sia nella mente a fare qualsiasi cosa, che sia lavoro o studio. Il principale sintomo, infatti, è la spossatezza sia mentale che fisica, determinata anche dopo uno sforzo fisico minimo, che si trasforma in fatica cronica persistente che si protrae per almeno sei mesi, non alleviata dal riposo.
Per riconoscerla meglio si possono considerare anche questi altri sintomi: disturbi della memoria e della concentrazione, faringite, dolori alle ghiandole linfonoidali cervicali e ascellari o dolori muscolari e delle articolazioni non accompagnato da infiammazione o gonfiore.

In Italia esiste un centro che accoglie proprio chi soffre della sindrome della stanchezza cronica: si tratta dell’ Istituto Nazionale Tumori di Aviano, dove esiste un’associazione italiana di pazienti Cfs e una Unità Cfs in cui i pazienti possono essere ricoverati.

Sebbene al momento sia certa una correlazione fra la patologia in questione e anomalie dei geni dei pazienti, stando anche a quanto afferma uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Patology, non è stato ancora scoperto un farmaco che possa definitivamente risolvere i seri problemi che la patologia sviluppa in chi ne soffre.

Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di oncologia medica dell’Istituto Nazionale Tumori di Aviano, si augura che “In un futuro non molto lontano” si possa “identificare un sottogruppo di pazienti nei quali” grazie allo studio di queste “proteine prodotte in maniera anomala si potrebbe arrivare ad un test diagnostico e ad una terapia mirata”.

Angela Liuzzi