Preservare la fertilità nei pazienti oncologici: una questione di grande attualità poiché, grazie al progresso della medicina, il tasso di sopravvivenza di bambini e giovani affetti da neoplasie è in continuo aumento. Per loro, quindi, risulta fondamentale conservare la capacità riproduttiva, che potrebbe invece venir pregiudicata inesorabilmente dalle chemioterapie e dalle radioterapie cui sono costretti a sottoporsi.
Se ne discute oggi a Siracusa, in occasione del Congresso Internazionale “The future of Reproductive Medicine”, presieduto da Ettore Cittadini – Professore di Ginecologia e Ostetricia presso l’Università degli Studi di Palermo – che ha riunito i maggiori esperti di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) per confrontarsi sui traguardi raggiunti e sui nuovi obiettivi da conseguire nel campo della PMA.
Le terapie antitumorali possono danneggiare le gonadi maschili e femminili e pertanto determinare una perdita di fertilità e possono altresì pregiudicare il patrimonio genetico degli ovociti e degli spermatozoi.
In particolare, nel 50% degli uomini sottoposti a trattamenti antitumorali si assiste ad una riduzione significativa della qualità del liquido seminale e nel 25-30% si registra un’assoluta assenza di spermatozoi che determina una completa sterilità.
Oggi una concreta possibilità di preservazione della fertilità maschile è rappresentata dal congelamento del liquido seminale, che consente di conservare gli spermatozoi per un tempo indefinito, lasciando inalterata la loro capacità fecondante.
Più complessa è la situazione delle donne affette da patologie neoplastiche, per le quali le strategie che si possono adottare per la preservazione della fertilità sono diverse e purtroppo nessuna è ancora affidabile come la crioconservazione degli spermatozoi; in particolare, per la donna sono possibili diverse tecniche: la protezione farmacologica, con efficacia ancora controversa; il congelamento degli embrioni, miglior tecnica in assoluto ma riservata solo a chi ha un partner stabile; il congelamento degli ovociti la cui efficacia è ancora bassa con percentuali di gravidanza e di bambini nati che vanno dall’1 al 5% per ovocita congelato.
Inoltre, per l’utilizzo del congelamento embrionale e ovocitario la paziente dovrebbe sottoporsi ad una stimolazione ovarica che ritarderebbe l’inizio della terapia antitumorale e ciò non sempre è possibile.
“Per i pazienti in età prepuberale che ancora non producono spermatozoi e ovociti – ha affermato il Prof. Cittadini – la ricerca scientifica sta facendo passi da gigante puntando sul congelamento del tessuto testicolare nel bambino e del tessuto ovarico nell’adolescente.
In particolare, l’innovativa tecnica del congelamento del tessuto ovarico rappresenta l’unica possibilità di preservazione della fertilità nelle bambine: si procede all’asportazione, in genere per via laparoscopica, e successivo congelamento del tessuto ovarico sede di follicoli primordiali che contengono ovociti immaturi.
Wanda Cherubini