Ondata di suicidi in Cina, Jobs si difende dalle accuse

Steve Jobs, fondatore e presidente della Apple Computer, ha spezzato oggi una lancia in favore della Foxconn, l’impresa nella cui fabbrica di Foshan, nel sud della Cina, nei mesi scorsi dieci lavoratori si sono suicidati nella regione chiamata “la fabbrica del mondo”. Nessuno ancora è riuscito a spiegare il perchè dei suicidi ma Steve Jobs si è subito difeso dalle accuse definendo le fabbrica, nella quale si assemblano molti dei suoi gioielli tecno, “non è una fabbrica di schiavi, ma una fabbrica che ha ristoranti, cinema, ospedali e piscine, una fabbrica carina che sta vivendo una situazione difficile”.
L’azienda ha chiesto ai propri dipendenti, tramite un impegno scritto, di non suicidarsi e per cercare di invogliare gli operai ha concesso un aumento di stipendio del 30 per cento.
Nella fabbrica gli operai però si lamentano delle condizioni di lavoro troppo dure: “Siamo costretti a lavorare per 12 ore al giorno, sei giorni a settimana, assemblando prodotti che non potremo mai comprare”, dicono i dipendenti della fabbrica. Con uno stipendio di 900 yuan, circa 108 euro, gli operai non riescono a sopportare le condizioni dure e le troppe ore di lavoro.
Una vicenda che nasce in un periodo in cui in tutto il sud della Cina ci sono molte agitazioni per avere aumenti di salari. I dipendenti dell’impresa automobilistica giapponese Honda, ieri hanno ottenuto un aumento dei salari del 24 per cento, dopo uno sciopero durato un’intera settimana. Circa la metà degli operai della fabbrica di Foshan sono stagisti, studenti cioè delle scuole professionali ai quali è richiesto un periodo di lavoro per ottenere il diploma. Gli operai più qualificati, invece, sono pagati 1.380 yuan, circa166 euro al mese. Secondo uno dei curatori del China Labour Bulletin di Hong Kong, Geoffrey Crothall, bisognerebbe dare ai dipendenti di Shenzhen (dove si trova la fabbrica della Foxconn) un salario minimo di duemila yuan.
Gli operai che lavorano in queste fabbriche sono in genere immigrati dalle regioni più povere della Cina che hanno un bisogno disperato di lavoro e pur di lavorare, accettano delle condizioni così disperate.

Daniela Ciranni