WWF alla Giornata mondiale degli oceani: “Contrastare la pesca illegale”

Si è svolta, lo scorso 8 di giugno, la Giornata Mondiale degli Oceani. Un tema quanto mai d’attualità data la tragedia che si sta ancora consumando al largo delle coste della Florida e le continue polemiche riguardo la caccia di pesci in via d’estinzione e soprattutto riguardo i “metodi” di pesca. In occasione della Giornata Mondiale il WWF ha deciso di puntare il dito soprattutto e con maggior forza verso la politica dei governi in materia di regolarizzazione della pesca, salvaguardia delle specie marine e dell’ecosistema marino.

“Circa il 65% degli stock di pesce di alto mare è sovrasfruttato; inoltre la pesca a strascico in acque oceaniche distrugge delle barriere coralline poco note, quelle di profondità, i cui fragili coralli d’acqua fredda e buia, ricoprono i cosidetti “sea mountains”, i monti sottomarini, alture sul fondo oceanico” è il commento del WWF riguardo al al problema delle acque alte ovvero quelle fuori dalle giurisdizioni nazionali che occupano più dei due terzi della superficie oceanica.

Inoltre la pesca legale in alto mare non segue le indicazioni della comunità scientifica mentre i pescatori illegali saccheggiano impunemente, strappando al mare un bottino pari a 1,2 miliardi di dollari ogni anno. I sussidi sono poi un flagello che incoraggia flotte di pescherecci sempre più grandi a inseguire pesci sempre meno numerosi, sostenendo una flotta globale “gonfiata”, almeno del 50-60% più grande di quanto dovrebbe essere.

“E’ giunta l’ora che le acque internazionali, d’alto mare ricevano una maggiore attenzione da parte di tutti i paesi, non solo quelli rivieraschi – ha detto Marco Costantini, responsabile Mare del WWF Italia – Come prima cosa, si deve contrastare la pesca illegale, grazie anche alla ratificazione dell’Agreement on Port State Measures. Poi ci si deve impegnare per impedire la circolazione di navi oceaniche “carretta”, alcune delle quali atte al  trasporto del petrolio: la Exxon Valdez, petroliera che nel 1989 si infranse su uno scoglio dell’Alaska, circola ancora oggi dopo più di venti anni, e solo da pochi anni non trasporta più petrolio. È infine necessario, per quanto riguarda le attività estrattive, mettere in campo valutazioni di rischio che includano la previsione e la quantificazione dell’enorme danno ecologico, sociale ed ambientale in caso di disastri come quello attualmente in corso nel Golfo del Messico, che avrà conseguenze sugli ecosistemi marini e costieri per almeno 50 anni”.

di Roberto D’Amico