Negozi di abbigliamento, tante ditte che si occupano di edilizia, gioielleria, ristoratori, librerie, cooperative sociali.
Questi, alcuni degli esercenti che dallo scorso 30 giugno hanno aderito ufficialmente al manifesto del consumo critico promosso dall’Associazione Addiopizzo di Catania.
Dietro la riuscita del progetto ci sono quattro anni di lavoro sul campo, un lavoro per le strade ma anche tra le menti perché in una realtà come quella siciliana non è facile venire fuori a testa alta e dire “io non ci sto”.
Ad oggi la lista include cinquanta realtà imprenditoriali, un numero di certo esiguo al cospetto della totalità presente sul territorio; ciò, però, non deve far pensare a un fallimento dell’iniziativa, bensì al primo passo per la riaffermazione del diritto – in senso stretto e in senso lato.
Adesso la palla passa ai comuni cittadini – consumatori che si spera mantengano la promessa fatta con la sottoscrizione del modulo di adesione al consumo critico, nella speranza che sia riesca a coinvolgere anche altra gente.
La realtà di tutti i giorni sembra dire che se un cambiamento ci può essere, questo deve provenire dal basso, dall’iniziativa diretta dei cittadini.
L’associazione Addiopizzo tiene a ribadire che l’appoggio agli esercenti che si oppongono al pizzo non equivale a un boicottaggio verso coloro che invece, ad oggi, non riescono a ribellarsi ad esso, ma solo un segnale – forte e chiaro – di sostegno verso chi ha avuto il coraggio di mettere il proprio nome e la propria faccia.
La speranza rimane quella per cui, aperto uno squarcio nel buio, il futuro possa vedere sempre più aziende e privati cittadini uniti nella lotta contro la mafia e le ingiustizie che caratterizzano la vita quotidiana.
Catania, come tante altre città del sud italia ha bisogno di segnali forti, specialmente dopo fatti come quello accaduto proprio ieri che ha visto ferita gravemente una studentessa della facoltà di Lettere e Filosofia, colpita da un proiettile vagante in pieno centro all’ora di punta.
Simone Olivelli