Una ricerca dell’università di Boston ha l’obiettivo di prevedere la longevità degli uomini. La ricerca è stata condotta dall’esperta di biostatistica Paola Sebastiani e dal geriatra Thomas Perls, entrambi dell’università di Boston, in collaborazione con Annibale Puca, che dieci anni fa aveva aperto questo filone di ricerca negli Usa, dove ha lavorato presso Children Hospital di Boston, e che dal 2003 è tornato a lavorare in Italia, nell’Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Itb-Cnr) e nel Polo scientifico del gruppo MultiMedica. Da oggi sarà possibile sapere se si diventerà o meno centenari.
Sono 150 le varianti genetiche (polimorfismi) di questo tipo finora identificate e il modo con cui si combinano tra loro ha permesso di individuare 19 firme genetiche della longevità comuni al 90% dei centenari studiati. «Alcuni di questi profili genetici – spiega Puca – definiscono il modo in cui si arriva a cento anni, altri riguardano invece la presenza o l’assenza di malattie». Secondo Paola Sebastiani la nuova tecnica «può essere applicata ad altri tratti genetici complessi, come quelli legati a malattie cardiovascolari, diabete, Alzheimer e Parkinson». Perls vede nelle firme genetiche «un nuovo passo verso la genomica personalizzata e la medicina predittiva» e ritiene che «questo metodo di analisi potrà dimostrarsi utile nella prevenzione e nello screening di molte malattie». Tuttavia i ricercatori sono prudenti: «prima di mettere in commercio questo test sarà necessario comprendere le implicazioni dell’uso di questo modello nella popolazione generale». Oltre ai 19 profili genetici è stato individuato un gruppo anomalo, pari al 45% dei più anziani (oltre 110 anni), «che non collima con nessun profilo genetico e nel quale c’è una forte componente ereditaria». Per saperne di più, secondo Puca, si potrebbe ricorrere al sequenziamento del Dna, ma questo sarà in ogni caso un passo successivo.
Stefano Bernardi