Fini sfida Berlusconi: provi a cacciarmi dal PdL…

Settimane di fuoco in vista per un Governo sempre più allo sbando, vittima della crisi, in apparenza irreversibile, su cui sta morendo il Popolo delle Libertà, primo partito di maggioranza.
Dopo che due giorni fa, di fronte ai fedelissimi radunati a Palazzo Grazioli, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha lanciato l’offensiva finale contro il “traditore” Fini, dicendosi intenzionato a cacciarlo dal partito, oggi è arrivata prontamente la replica del Presidente della Camera che, senza sottrarsi allo scontro, alza ulteriormente i toni del dibattito.

Ci provino pure a cacciarmi – ha detto ai suoi uomini, dalla località marittima in cui sta trascorrendo il fine settimana – in questa vicenda io sono piantato nella Costituzione, nella legalità, nelle linee fondanti del nostro partito e nel sentimento dei nostri elettori. E poi chi lo stabilisce il confine tra l’eresia e l’ortodossia in un partito che si dice liberale ed europeo? Io resto dove sono”.
“Oltretutto la vedo un po’ complicata se mi cacciano e resto presidente della Camera. Mettiamola così: non credo che il governo ne avrebbe una grande convenienza”.

Nessun problema, quindi, ad andare allo scontro frontale con Berlusconi e l’area berlusconiana del partito, a maggior ragione dopo l’apertura di Franceschini e del Partito Democratico agli emendamenti dei finiani al ddl intercettazioni, che permetterebbero, in commissione giustizia, di modificare il testo voluto da Berlusconi secondo le linee guide degli uomini vicini al Presidente della Camera.
“(Berlusconi, ndr) davvero vuole forzare la mano – ha continuato Fini – e far passare questa legge prima dell’estate, pur sapendo che tanto dovrà tornare al Senato? A me sembra solo un puntiglio contro di me, una cosa impensabile“.
Che, per di più, finirebbe per rialzare il livello di scontro con il Quirinale che ha chiesto di concedere al Parlamento il tempo di affrontare i “punti critici” del ddl intercettazioni.

Con Fini e i finiani pronti alla guerra, il Presidente del Consiglio mostra di non essere più in grado di garantire l’unità del partito e della maggioranza, svanito il sogno populista dell’uomo solo al comando cullato fin dai tempi della svolta del predellino, e, di fronte ad un simile scenario, non è detto che anche Bossi e il carroccio, fiutando odor di sconfitta e di fallimento del federalismo, finiscano per abbandonare la nave prima che affondi.
“In una crisi di governo – ha detto ancora a questo proposito Fini – si sa come si entra ma non come se ne esce”.
Porte aperte, quindi, all’ipotesi di Casini e dell’Udc di far nascere un terzo polo moderato: “sono sicuro – ha concluso l’ex leader di An – che Gianni Letta gli ha spiegato (a Berlusconi, ndr) che, in caso di rottura del Pdl, noi non faremmo una An in sedicesimo, nascerebbe qualcosa di nuovo, c’è tanta gente alla finestra che aspetta“.

Mattia Nesti