Lo sciopero indetto dal sindacato corporativo dei giornalisti è quanto di più obsoleto quest’alta gerarchia potesse inventarsi. A nulla è valso lo sconforto dell’essere perfino d’accordo con l’editoriale di Vittorio Feltri di ieri: non è il modo, questo, di contestare un disegno di legge altamente pericoloso per lo svolgimento della vita civile e sociale del paese, del corso della giustizia.
Meglio sarebbe stato, come da più parti proposto, garantire una sovrapproduzione informativa, regalando o distribuendo a prezzi più bassi i quotidiani. Ma niente: la carta, ieri, si è scissa fra favorevoli in edicola e contrari a casa, con l’eccezione ibrida del Secolo d’Italia, free a Roma, Bologna e Milano. E del Giornale, appunto, uscito ma perplesso sul ddl.
Sembra ancora più incredibile, la soluzione del bavaglio autogeno, considerata la mole di notizie che malaffare e politica stanno inondando le redazioni. La maggior parte delle volte, peraltro, vicende impossibili da scandagliare per i giudici e raccontare per i giornalisti a bavaglio approvato. Non ultima la scoperta di una presunta, nuova loggia massonica, nella quale s’intreccerebbero – parrebbe – gli interessi del partito del premier con quelli di taluni affaristi.
Un motivo in più per scorgere le ragioni di questo disegno di legge, probabilmente, e un altro per ammonire il cittadino: “questa notizia sarebbe clandestina, pubblicarla andrebbe della vostra libertà e delle nostre tasche”. Nulla.
Ancora più odioso, concludo, è parso l’aver dato il destro a giornalisti della fatta di Mimun, che alla lettura del comunicato sindacale ha trovato modo per additare alla Fnsi la colpa del silenzio. Come se il bavaglio, questa abnormità democratica, svolazzasse sopra le teste degli informatori per mano di un oscuro mago, non del proprio editore di riferimento, e presidente del Consiglio.
Una brutta trovata per una giusta causa. Sperando rappresenti l’ultima delle iniziative che il comparto sia costretto a inventarsi.
V.M.