Troppi parti cesarei in Sicilia, anche quando si potrebbe fare un parto naturale: spesso avviene per mancanza di corretta informazione alle gestanti, ma ci sono anche ragioni economiche che orientano le scelte delle strutture ospedaliere, soprattutto private. Con le attuali tariffe, infatti, la Regione rimborsa una cifra quasi doppia per un parto cesareo.
Per arginare il fenomeno e promuovere il ricorso al parto naturale, l’assessorato regionale della Salute ha deciso di uniformarsi alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e recepire le linee guida emanate dal Ministero della Salute lo scorso 19 gennaio. Così è stato deciso di uniformare le tariffe con cui la Regione remunera, sia alle strutture pubbliche che a quelle private, le varie tipologie di parto. La decisione scaturisce dai dati di attività per il parto cesareo che sono stati registrati in Sicilia nel 2008 e nel 2009: la percentuale è stata del 53% circa (53,7% nel 2008 e 53,11% nel 2009), a fronte di una media nazionale del 38,35% e all’obiettivo del 20% fissato dal Ministero (l’Italia resta al vertice della classifica europea).
“C’è una evidente distorsione del sistema – spiega l’assessore Russo – che non trova nessuna spiegazione epidemiologica e che incide pesantemente sui conti della Regione Sicilia, senza in alcun modo offrire maggiori garanzie di sicurezza alle pazienti”.
Il decreto prevede un rimborso di 1.900 euro per tutte e tre le principali classificazioni di parto (DRG) che finora sono state remunerate in modo diverso: il parto vaginale senza complicazioni viene pagato attualmente 1.489 euro; quello vaginale con sterilizzazione e/o dilatazione e raschiamento 1.945 euro; quello cesareo senza complicanze 2.359 euro. La cifra di 1.900 euro, in sostanza, rappresenta una media ponderata delle tre tariffe.
“Sono convinto che questa decisione produrrà, nel giro di pochi mesi, un aumento dei parti naturali che riporterà correttamente la Sicilia al livello delle altre regioni”. Conclude l’assessore Russo: “Le linee guida ministeriali sottolineano come al maggiore ricorso alla pratica chirurgica non corrisponda una riduzione del rischio materno-fetale. I dati, che mettono in cattiva luce la Sicilia, ci impongono un cambio di tendenza e confermano l’esigenza di mettere in atto al più presto una radicale riorganizzazione dell’area materno – infantile”.
Adriana Ruggeri