«Diciotto anni fa, allo Stato e ai suoi cittadini onesti è stata dichiarata guerra. E come in tutte le guerre, ci sono stati tradimenti e nemici mascherati da amici. Diciotto anni dopo siamo ancora in piedi, ma vogliamo sapere chi ha vinto. Diciotto anni dopo, Palermo sarà in via D’Amelio per ricordare la strage, per commemorare Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta e per tornare a chiedere verità e giustizia. Diciotto anni dopo, Palermo non dimentica. Diciotto anni dopo, non è tutto finito».
Recita così il manifesto di «18 anni dopo. Palermo non dimentica», la tre giorni, da sabato 17 a lunedì 19, di iniziative promossa da Itaca e Un’altra Storia per il diciottesimo anniversario della strage di via D’Amelio, il 19 luglio 1992. La manifestazione è stata presentata a Palermo da Rita e Salvatore Borsellino e da rappresentanti delle associazioni che hanno aderito all’iniziativa, tra le quali Addiopizzo, Arci, Centro Pio La Torre, Left, Libera.
Ed è proprio Rita Borsellino ad usare, fra gli applausi degli intervenuti, i toni più aspri durante la presentazione. La sorella di Paolo, il magistrato ucciso 18 anni fa in via D’Amelio, dichiara senza mezzi termini: «L’attuale momento è peggiore del ’92. Allora sapevano chi erano gli amici e chi i nemici. Con tutti i limiti del caso, si sapeva a chi affidare la propria fiducia. Oggi non è più così. Sappiamo che non possiamo fidarci praticamente di nessuno. Per anni ci sono state dette bugie proposte come verità. Oggi sappiamo che non c’è verità. Finora sono emersi coriandoli di verità, ma siamo ben lontani da essa. Così, la caparbietà dei magistrati che continuano a cercare la verità dei fatti, che può essere una sola non tante, è il modo più bello per raccogliere l’eredità di Paolo».
Non meno forti le parole usate da Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia, nel corso della manifestazione organizzata dal Comitato Scorta civica, nel piazzale antistante il palazzo di giustizia di Palermo: «Un pezzo dello Stato insieme alla mafia ha impedito che Paolo potesse continuare il suo lavoro. Oggi – insiste Salvatore – siamo qui per fare sentire il nostro sostegno ai magistrati che questa verità continuano a cercarla giorno dopo giorno. Noi siamo con loro. L’anno scorso ho chiesto a Ingroia e agli altri suoi colleghi di permettermi di potere piangere e seppellire mio fratello. Questi magistrati, facendo luce su quanto accaduto, stanno permettendo che ciò avvenga, anche se Paolo non è morto perchè è vivo nei nostri cuori».
Con alla mano l’agenda rossa, il simbolo scelto da Salvatore Borsellino per chiedere giustizia sulla morte del fratello, una moltitudine di persone si è radunata davanti al palazzo di giustizia di Palermo.
E non c’è afa che tenga. La lotta alla mafia resiste in Sicilia nei volti e nelle parole dei tanti, soprattutto giovani, che non vogliono saperne di gettare la propria terra nel cancro mafioso.
Raffaele Emiliano