Alla fine l‘annuncio è arrivato: a conclusione degli Stati generali delle “Fabbriche di Nichi” (3 giorni di lavoro sotto il sole cocente di Bari), il governatore della Puglia ha rotto gli indugi, ufficializzando la sua intenzione di candidarsi a premier nel 2013. Un nuovo presidente del Consiglio, pronto a rinnovare prospettive e comportamenti, conducendo con sè – qualora il sogno dovesse diventare realtà – un nuovo modo di intendere e di fare politica. Equidistante dalle dinamiche perpetuate dalle nomenclature di destra e di sinistra.
Nel suo discorso conclusivo il presidente della Puglia non ha usato giri di parole: “Mi candido – ha detto – per ricostruire il cantiere dell’alternativa e per sparigliare i giochi di un centrosinistra asfittico, che non è stato in grado di fare un discorso capace di interpretare la crisi del mondo, la crisi del’Europa e quella dell’Italia”. Considerazioni amare, che il governatore ha rimarcato per spiegare il senso della sua candidatura: “Perché io? – ha continuato – perché sono voi quando non sopportate il centrosinistra avendo in mente un mondo diverso da questo. Noi abbiamo due obiettivi da raggiungere: il primo è l‘indispensabilità di un metodo democratico che si sottrae alle nomenclature di partito; il secondo – ha continuato Vendola – è portare nell’arena la domanda di una buona politica. Non c’è buona politica che possa prescindere da un discorso sul buio e sulla luce”.
E per sgomberare il campo da maliziose interpretazioni che potrebbero indurre a considerare la sua candidatura una semplice scalata verso i palazzi capitolini, il leader di Sel ha incalzato la platea barese, indicando gli obiettivi del suo impegno politico: “Dobbiamo vincere – ha ripreso Vendola – ma questo verbo deve essere coniugato fuori dal palazzo, lungo le traiettorie delle vie popolari. Vincere ha un significato se si vince a Pomigliano, a Melfi, se la vittoria ha significato per gli studenti precari, per i ricercatori che sono costretti ad emigrare, per le donne e gli eroi dei nostri giorni, come Falcone, Borsellino e Carlo Giuliani. Bisogna vincere – ha aggiunto il presidente dei pugliesi – per ricostruire i codici dei diritti: allora la vittoria è un discorso sulla salvezza del Paese, che guarda all’Europa. E’ la vittoria di tanti, è la vittoria del popolo che si alza in piedi, non è una vittoria di parte o di partito“.
Un discorso – quello scandito dal candidato premier del 2013 – da vero “cane sciolto”, insofferente ad astuzie e mercanteggiamenti. A compromessi e finte alleanze, tese solo a garantire uno status quo che il governatore della Puglia vorrebbe spazzare via. La proposta di avviare un governo tecnico che possa traghettare il Paese fuori dalla crisi gli appare per questo impraticabile: “Non credo – ha scandito Vendola – che ci sia la possibilità di lavorare per un governo tecnico o per un governo di larghe intese perchè si è consumata una stagione politica. Abbiamo bisogno di chiudere questa esperienza – ha concluso – di liquidare il berlusconismo e di tornare alle urne”. Di archiviare una pagina polverosa per aprire un nuovo capitolo, segnato – magari – dalla guida di un premier intellettuale, omosessuale e di sinistra. Un personaggio che sembra evaso dalle più colorite barzellette dell’attuale presidente del Consiglio. Il Paese è pronto a tutto questo?
Maria Saporito