Immigrazione, le Marche rifiutano il Cie

La Regione Marche ha risposto con un perentorio “no” alla proposta del ministro dell’Interno Roberto Maroni di aprire un Centro di identificazione ed espulsione per immigrati irregolari a Falconara Marittima, nel compendio demaniale di via Fossatello, già area logistica esterna a servizio dell’ex aeroporto militare.


In una missiva al ministro leghista, il presidente Gian Mario Spacca ha ribadito che “la Regione è indisponibile a condividere con il Governo la scelta di realizzare un Cie nel suo territorio”, anche se il ministro vuole realizzarne almeno uno in ciascuna regione che ne risulta ad oggi sprovvista.

“La Regione Marche – ricorda Spacca – ha da tempo manifestato perplessità e contrarietà alla costruzione nel proprio territorio di centri di identificazione ed espulsione in cui accogliere temporaneamente gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione o respingimento. Tale posizione è stata rappresentata anche attraverso atti ufficiali”.

Spacca fa sapere a Maroni che il 24 novembre 2009 “l’Assemblea legislativa regionale ha approvato un ordine del giorno in cui si dichiara che ‘il trattenimento dei cittadini immigrati in attesa di identificazione si è rivelato essere un trattamento ai limiti della legalità, causa di dispersioni di famiglie e fenomeni di autolesionismo e suicidio, e che va comunque considerato lesivo dei diritti umani e fuorviante negli scopi che persegue’, impegnando di conseguenza la giunta a opporsi ‘nei modi e nelle forme stabilite dalla Costituzione, alla realizzazione nelle Marche di centri di detenzione per migranti, quali i centri di identificazione ed espulsione, in cui la limitazione della libertà personale sia disposta al di fuori del medesimo quadro di garanzie previste per i cittadini italiani”.

Il presidente della Regione, nella sua valutazione del Cie, punta il dito contro gli scarsi standard qualitativi gestionali, la promiscuità, e l’insufficiente assistenza sanitaria, legale, sociale o psicologica. Per la giunta marchigiana, “anche il tempo di permanenza nelle strutture (fino a sei mesi) rischia di configurarsi come il superamento dell’elemento di temporaneità tipico dei centri, con un aggravio di costi per lo Stato e una maggiore difficoltà a gestire i conflitti dovuti alla restrizione della libertà personale degli ospiti”.

Raffaele Emiliano