Privatizzazione dell’acqua: una marea di firme per il referendum

Ieri mattina in piazza Navona è stato raccolto un vero e proprio muro di scatoloni, colmi di fogli di firme, che poi sono poi stati trasferiti in Cassazione. 1 Milione e 400 Mila italiani hanno chiesto di indire un referendum per esprimersi sul modo in cui lo Stato deve gestire l’acqua. Alla manifestazione di conclusione della campagna di raccolta firme erano anche presenti diversi rappresentati delle associazioni e dei comitati territoriali, il cosiddetto «popolo dell’acqua», che ha festeggiato la sua vittoriosa prima battaglia in questa guerra per l’acqua.  In base alle decisioni della Corte di Cassazione e del ministero dell’Interno sapremo quando saremo chiamati ad esprimerci, ma se tutto andasse secondo i piani degli organizzatori il referendum sarà entro la fine della primavera 2011. «Con il migliore dei presupposti possibili – dice Guido Barbera, presidente di Solidarietà e cooperazione – comincia qui l’avventura, un lungo percorso che ha come prossima tappa 25 milioni di votanti nel 2011, per alcuni sono solo numeri, per noi sono la storia del nostro paese.

Contro cosa vuole andare il referendum che ha raccolto il maggior plauso popolare della nostra storia?

Infatti il 19 novembre 2009 il decreto Ronchi è diventato legge poiché approvato dalla Camera dei deputanti con 302 voti a favore e 263 contrari. Il decreto stabilisce le norme per il conferimento alle imprese della gestione dei servizi pubblici locali, tra cui figura chiaramente anche la gestione dei servizi di distribuzione idrica, l’acqua.

Se dovessero essere approvati i tre quesiti proposti dal referendum, allora la situazione attualmente sancita dalla legge cambierebbe: l’affidamento del servizio idrico integrato sarà regolato dall’articolo 114 del decreto legislativo 267/2000 che prevede il ricorso alle aziende speciali, o ad enti di diritto pubblico che qualificano il servizio idrico come strutturalmente e funzionalmente «privo di rilevanza economica» , dunque di interesse generale.

In sintesi gli italiani avranno la possibilità di abrogare la norma approvata dall’attuale governo e di tutte quelle che in passato «andavano nella stessa direzione: considerare l’acqua una merce e la sua gestione finalizzata a produrre profitti».

Il successo della raccolta è andato oltre ogni previsione, anche di quelle più felici degli stessi organizzatori.

A cosa è dovuta questa partecipazione strepitosa della popolazione?

Se dunque l’interesse “ufficiale” alla base del decreto Ronchi era, come sempre, “liberare” lo Stato dagli oneri di gestione, affidando quest’ultima a società o imprenditori che, tramite gare di appalto, possono gestire, e dunque speculare, sull’acqua, adesso si vedrà se il popolo è d’accordo. Il decreto a novembre 2009 passò malgrado la fortissima pressione dell’opinione pubblica e gli appelli lanciati da più parti e così la liberalizzazione dell’acqua è diventata realtà, con l’ottima conseguenza di un rincaro sulle tasche dei cittadini con aumenti che – secondo le associazioni dei consumatori – furono stimati intorno al 30%-40% nell’arco di qualche anno. Con il referendum forse gli italiani imporranno al governo di far speculare gli imprenditori su tante altre cose, ma non sull’acqua. L’acqua no. Proprio il fatto che c’è stato un vero e proprio record di partecipazione testimonia due cose: la volontà di non permettere a nessuno di speculare sui beni primari e la richiesta, da parte del popolo, di norme e di leggi che non diano a nessuno la possibilità di guadagnare su servizi che dovrebbero, per l’appunto, essere senza scopo di lucro. Il lato eccezionale è che questo referendum ha toccato una corda emotiva. Quando i politici aiutano gli speculatori che vogliono fare affari sulle discariche o su altri possibili obiettivi non viene toccata una corda primaria della popolazione, e fate pure, ma quando si tocca l’acqua è diverso. Forse perché adesso fa caldo e tutti sono assetati, in ogni caso questo è il segnale di una forte e decisa volontà ostile all’alienazione, da parte dello Stato e di chi temporaneamente lo dirige, della gestione di un bene universalmente riconosciuto come bene pubblico e da cui ogni speculazione deve essere bandita.

Luigi Pignalosa