Il valore del sangue dipende dai gusti sessuali di chi lo dona. Sembra assurdo ma la morale della storia che stiamo per raccontare è proprio questa. Lui, omosessuale con una relazione stabile. Loro, dirigenti sanitari del ospedale Gaetano Pini di Milano, che da otto lunghi anni lo accoglievano come donatore regolare. Poi improvvisamente tutto è cambiato. Il servizio trasfusionale dell’Istituto milanese ha chiuso le porte ai gay, facendo così allungare la lista dei centri italiani che dicono no al sangue degli omosessuali, e scatena una polemica che è destinata ad ingigantirsi sempre di più, infiammando il dibattito politico.
Sono amare le parole di Gabriele, protagonista della vicenda, che tramite un blog fa sentire la propria voce. «Fino a ieri il mio sangue andava benissimo, è andato bene per oltre venti volte e oggi non va più bene? Vi ho dato nove litri in otto anni e adesso non posso? E perché poi? Solo perché sono gay?». E’ arrabbiato, deluso, amareggiato. Le infermiere, sempre gentili e simpatiche, quando è arrivato qualche giorno fa, gli hanno consegnato l’abituale questionario da compilare, con domande su eventuali contatti con sangue infetto, sulle abitudini sessuali, su viaggi all’estero, nell’attesa della visita con la dottoressa responsabile. Ma stavolta la sua idoneità è stata valutata in modo differente. Ad informarlo del veto posto è stato un medico: «Mi ha guardato dritto negli occhi, titubante. Poi mi ha comunicato che la struttura da poco si era unita al Policlinico, da cui ora dipende e le cui direttive molto diverse e chiare: non è più possibile accettare donatori omosessuali».
A fare chiarezza interviene Elena Biffi, responsabile del servizio, che spiega: «Dopo l’integrazione del nostro Servizio Trasfusionale con il Centro Trasfusionale della Fondazione Policlinico, avvenuta lo scorso aprile, abbiamo adottato i medesimi criteri di selezione dei donatori, che attualmente non ammettono alla donazione persone di sesso maschile che abbiano avuto rapporti sessuali con persone di sesso maschile».
Paola Concia, deputata del Pd, nonché lesbica dichiarata, non ci sta e parla di violazione del principio di non discriminazione sancito dalla Costituzione, aggiungendo che non c’è alcun fondamento a ad una direttiva di questo tipo. Ha quindi deciso di presentare un’interrogazione al Ministro della Salute, contenente statistiche ufficiali come una stima dell’Istituto Superiore di Sanità relativa al 2008. L’indagine chiarisce infatti che nel 44,4% dei casi la trasmissione del virus è avvenuta con un rapporto eterosessuale; solo nel 23,7% dei casi con un rapporto omosessuale o bisessuale. Un trend che trova conferma anche nei dati dell’OMS, a livello mondiale.
«In Italia – dichiara la deputata – ci sono 9 milioni di italiani che vanno a prostitute. Loro possono donare il sangue e i gay no? Siamo cittadini come gli altri e devono piantarla di trattarci come persone di serie B. È ora di farla finita. Se è vero che le Regioni hanno una loro autonomia, questo non vuol dire che si possano procedere ad indebite discriminazioni nei confronti dei cittadini». E nel frattempo continua farsi strada una tendenza tipicamente italiana di approccio alle questioni sociali: quando si dovrebbe privilegiare il bene si pensa al male, e quando invece occorrerebbe valutare il male si lascia correre.
Katiuscia Provenzani