Alta Moda: nel laboratorio bambini e donne in schiavitù

Dopo un indagine ed un blitz, i carabinieri della Compagnia di Frascati, diretta dal capitano Giuseppe Iacoviello, hanno ritrovato un laboratorio-prigione: costretti in stato di schiavitù e obbligati a lavorare per i padroni del laboratorio c’erano quattordici cinesi, di cui molti donne e bambini.

Il “laboratorio”, sito alla Borghesiana, periferia est di Roma, in via Scaletta Zanclea, era un locale senza finestre, con ventisei postazioni di lavoro ammassate, pericolosissimo per rischio incendi e in trasgressione di tutte le norme sulla sicurezza. Le forze dell’ordine hanno arrestato due cinesi di 36 e 47 anni, con l’accusa di riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dalle indagini è emerso un dettaglio inquietante: i dipendenti schiavi, per essere assunti, erano costretti ad un periodo “di prova” di sei giorni durante il quale i “candidati” dovevano mostrare la loro capacità di resistere alla fatica. Chi dormiva meno e lavorava di più, vinceva. Un agghiacciante gioco per “il lavoro”. I padroni costringevano poi i “dipendenti” a fare turni di 12-14 ore senza sosta, essi dovevano mangiare sul posto di lavoro e dormivano in case prese in affitto da proprietari italiani. I giacigli nelle case, realizzati con materassi vecchi e qualche lenzuolo, erano disseminati in tutte le stanze dell’appartamento, cucina compresa.

Dalle indagini è emerso che il laboratorio appartiene ad una società a responsabilità limitata regolarmente registrata alla Camera di commercio di Roma ed era “gestito” dai cinesi. In quel locale si producevano però capi di una casa d’alta moda femminile. Pare che i cinesi avessero avuto questo appalto da un romano, che è stato individuato e ha già dichiarato che è pronto a chiarire tutto, carte alla mano, Ma l’indagine ed i seguenti arresti sarebbero, per quanto sostengono gli inquirenti, solo la punta di un sistema ancora da chiarire.

Infatti a monte c’è una casa di moda che ha appaltato il lavoro ad una azienda italiana, la quale a sua volta

ha passato in produzione un certo numero di capi mentre la parte più consistente dell’ordinazione l’ha data ai cinesi, che costano molto meno di un sarto italiano. Le indagini quindi proseguono con verifiche, in collaborazione con il personale della Asl di Roma e dell’Ispettorato del lavoro, per cercare di chiarire altri eventuali coinvolgimenti.