C’è incompatibilità. Questo, sostanzialmente ciò che ha dichiarato il Premier Silvio Berlusconi, dopo la riunione dell’ufficio di presidenza del PdL, tenutasi, per decidere le sorti del partito. Il documento che ne è emerso, ha come oggetto la censura politica di Gianfranco Fini e il deferimento ai probiviri dei tre deputati Italo Bocchino, Fabio Granata e Carmelo Briguglio; troppo forti le loro dichiarazioni, contestate e contrastate anche da personaggi che , pur non finiani, trovano la loro anima politica proprio nell’ex Alleanza Nazionale di Fini. C’è mancato forse un pelo che venisse deferito anche Fini. Non è successo, ma la fiducia in lui da parte della dirigenza del PdL è ormai venuta meno.
“Non è mai successo che la terza carica dello Stato assumesse un ruolo politico” e si mettesse a fare “una vera e propria opposizione, critiche in sintonia con la sinistra e con una struttura organizzativa sul territorio. Abbiamo tutti ritenuto che il Pdl non potesse pagare il prezzo troppo alto di mostrarsi un partito diviso” ha detto Berlusconi in conferenza stampa, che ha proseguito poi spiegando come le contestazioni di Fini all’opera del PdL non siano state mosse da ” dissenso”, ma dal configurarsi di una situazione che il Cavaliere ha descritto come “un vero partito nel partito“.
La corte all’ex leader di Alleanza Nazionale era stata fatta anche da alcuni membri del PD, membri di primo piano, che si erano detti pronti a sostenere eventuali emendamenti di Fini al Ddl intercettazioni, quest’ultimi tra l’altro, slittato a Settembre. Che sia stata anche la paura di una sorta di alleanza trasversale a indurre gli uomini più vicini a Berlusconi e comunque rappresentanti la maggioranza del Partito delle Libertà a prendere un’iniziativa così dura? Forse, quel che è certo è che la situazione era ormai divenuta insostenbile. Le liti, di natura politica, morale oppure prettamente tecnica tra il Premier e il Presidente della Camera erano ormai quotidiane ed infatti, anche quando, come nelle ultime ore, Gianfranco ha dato ( finalmente per alcuni, tardivamente per altri) segni di apertura, Berlusconi pare avergli chiuso la porta in faccia.
Il Presidente del Consiglio ha comunque tenuto a rassicurare sulla stabilità di Governo. La rottura tra lui e Fini non dovrebbe quindi inficiare la capacità di prendere decisioni da parte dell’esecutivo, governo che ha comunque risentito molto dei ritardi e dei trascinamenti delle suddette, a causa delle lotte intestine al partito di maggioranza. La popolarità e la fiducia nel Governo appaiono infatti in calo, al contrario, straordinariamente, di quella del suo leader, che secondo alcuni sondaggi sarebbe, nonostante tutte le traversie, attestata al 63% . Così’ fosse sarebbe la migliore conferma del fatto che in Italia sussiste da ormai più di dieci anni un leader, che sia di Governo o di opposizione, prettamente “carismatico”. La cosa ha i suoi pregi e i suoi difetti. Se da una parte l’effetto carisma contribuisce a mantenere una parvenza di stabilità, anche quando questa pare non esista definitavamente più, il rovescio della medaglia è che qualucque decisione debba per forza passare prima dal suddetto leader, questo, tra l’altro, per una convenzione accettata (quasi) universalmente e non per obbligo imposto dall’altro. Una non-democrazia, ma democraticamente condivisa.
L’ipotesi sfiducia politica ai danni del Presidente della Camera è, come ha confermato lo stesso Berlusconi, una faccenda di cui si occuperà il Parlamento, se lo vorrà fare,ma, per quanto riguarda la strada che il PdL ha deciso di imboccare, il documento votato dalla dirigenza nelle ultime ore non lascia spazio a dubbio alcuno. Le strade ora sono diventate due, Fini ( che non lascerà comunque il PdL, non vuole) da una parte, Berlusconi dall’altra.