La malattia nella malattia

La malattia non si ferma all’eliminazione del problema clinico. Questo è ciò che emerge da quanto stiam per raccontare. 400mila le donne italiane guarite dal tumore al seno e ancora sotto osservazione. La maggior parte dice di sentirsi bene (, di essere stata seguita positivamente o addirittura in modo eccellente. Purtroppo però dal punto di vista psicologico la situazione non è così rosea: il 30% si sente meno femminile, il 20% riscontra dei cambiamenti nella situazione familiare e a livello di rapporti sociali e il 60% durante la malattia ha affrontato un periodo di depressione. Il 65% di queste donne, infine, vive nel terrore di ammalarsi di nuovo, e questo non ne facilita il recupero psicofisico.

A offrirci rali spunti di riflessione è la prima indagine nazionale promossa dall’Associazione ricerca ed educazione in oncologia (AREO) in tre centri oncologici di eccellenza, che ha delineato un ritratto delle donne italiane che hanno affrontato il carcinoma nelle strutture ospedaliere nazionali.  Un gruppo di esperti ha esaminato e intervistato, tra ottobre 2009 e maggio 2010, 150 ex-pazienti, a 5 e a 10 anni dalla diagnosi. In effetti, la stragrande maggioranza di queste donne è riuscita a tornare a lavoro e solo il 4% lo ha perso durante la terapia. Oltre il 50% al rientro ha scelto di mantenere il tempo pieno e appena il 10% ha subìto una riduzione dello stipendio.

«Il nostro obiettivo era quello di analizzare, con criteri scientifici, l’impatto di questa malattia nel lungo periodo  –  spiega il professor Pierfranco Conte, direttore del dipartimento di oncologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore dello studio –  i risultati in parte ci sorprendono perché, per fortuna, il livello di reintegrazione sociale sembra buono e non si notano discriminazioni evidenti. Colpisce invece in negativo l’assenza di supporto psicologico  –  continua Conte – la neoplasia del seno è particolarmente ricca di significati simbolici e si ripercuote con più evidenza rispetto ad altre sulla sfera sessuale.» Fra le donne in età fertile infatti il desiderio spesso viene danneggiato dalla malattia e solo il 16% prende in considerazione l’idea di una gravidanza. Ma è ormai stato ampiamente accertato che non esistono  controindicazioni alla maternità dopo questa malattia. Anzi, la preservazione della capacità riproduttiva rappresenta una delle nuove priorità per gli oncologi medici, sempre più preoccupati non solo di sconfiggere il tumore ma di garantire la miglior qualità di vita alle proprie pazienti.

Purtroppo il tumore alla mammella rappresenta ancora una delle principali cause di morte femminile fra i 35 e i 44 anni. In Italia nel 2008 si sono registrati quasi 38mila casi. Ed è prioritario comprendere che il cuore delle pazienti ha bisogno di cure tanto quanto il loro fisico.

Katiuscia Provenzani