“Out of time”, tempo scaduto: sarebbe questo il laconico messaggio che il presidente del Consiglio vorrebbe presto recapitare a Gianfranco Fini. Le volontà di pace consegnate dal presidente della Camera a “Il Foglio” e le mani tese al premier per ricucire uno strappo ormai più che vistoso arrivano, secondo Silvio Berlusconi, fuori tempo massimo e partono, comunque, da una posizione interessata. Tutt’altro che sincera.
Le voci sull’imminente “uscita” di Fini dal Pdl si fanno sempre più insistenti da quando ieri sera il Cavaliere ha deciso di radunare i suoi più fidi collaboratori a palazzo Grazioli per studiare le prossime mosse (forse le ultime) della logorante partita a scacchi con il presidente di Montecitorio. Un incontro-fiume, conclusosi nel cuore della notte, e iniziato con il giornalista Giuliano Ferrara che – dopo aver raccolto gli intenti “pacifisti” di Fini – ha ben pensato di informare tempestivamente il premier così da permettergli una più serena valutazione della delicata vicenda.
Informazioni senz’altro preziose che hanno rinforzato la “disaffezione” del presidente del Consiglio per l’ex aennino: dice così perché sente che la sua ora sta per arrivare – sarebbe stato il ragionamento del premier – o perché semplicemente vuole attribuire a me ogni responsabilità dell’inevitabile rottura. Stando ai ben informati ieri a palazzo Grazioli si sarebbe, insomma, svolta la riunione “definitiva”: quella tesa a tradurre le sconfessioni – finora solo verbali – rivolte ai “finiani” in termini pratici. Più precisamente si sarebbe parlato di un documento di censura politica che l’ufficio di presidenza del Pdl dovrebbe licenziare tra stasera e domani per mettere alla porta Fini e i suoi sodali.
Pochi i dettagli a disposizione; quel che appare abbastanza certo è che destinatario dell’eventuale “scomunica” politica non dovrebbe essere solo il presidente della Camera, ma anche il loquace Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e l'”inopportuno” Fabio Granata. Su di loro starebbe per abbattersi l’anatema finale, volto a ufficializzare il loro allontanamento dal partito di maggioranza. Seppure i dubbi non manchino: a cosa potrà appellarsi il presidente del Consiglio per giustificare agli occhi del Paese una mossa così muscolare e così poco liberale?
E ancora: in che modo potrà decretare l’espulsione dal Pdl di esponenti che di fatti non sono neanche tesserati (è il caso dello stesso Gianfranco Fini e di Fabio Granata)? Dettagli che rischiano di inceppare il meccanismo oliato dal presidente del Consiglio che comunque ieri, nel cuore della notte, continuava a ripetere riferendosi a Fini: “Poteva pensarci prima, doveva essere lui a mettere la museruola ai suoi ultras che ha sempre mandato avanti senza mai sconfessarli. Basta, la gente è stanca di questo teatrino”.
Parole categoriche che hanno polverizzato le speranze di Gianni Letta che ancora ieri ha tentato di ricucire lo strappo tra i due co-fondatori, proponendo un incontro vis-a-vis. Una richiesta estrema, comunicata al telefono a Gianfranco Fini il quale, dopo un primo rifiuto, avrebbe invece deciso di rendersi disponibile all’incontro, consegnando di fatto la “patata bollente” al premier. Che siano strategie o timori dell’ultima ora, insomma, l’impressione è che il presidente della Camera stia tentando in ogni modo di bussare alla porta del Cavaliere. Il quale, però, sarebbe sempre più intenzionato a non aprire e a replicare con tono solenne ai “fininiani” intempestivi: “Ite, missa est”.
Maria Saporito