Usa: la legge anti-immigrazione, gli arresti dei manifestanti e le tende nel deserto

Lo sceriffo della contea di Maricopa, Joe Arpaio, divenuto un simbolo della legge anti-immigrazione

Entrata in vigore da ormai diversi giorni, la legge anti-immigrazione dello stato dell’Arizona non ha smesso di far discutere sin dagli inizi. Nonostante il giudice Susan Bolton abbia sospeso temporaneamente i punti più controversi della legge, le proteste non accennano a diminuire, sia da parte di chi è favorevole ad un aumento dei controlli sugli immigrati sia da parte di chi invece ritiene la legge incostituzionale e troppo stringente nella sua limitazione delle libertà personali. Nella giornata di ieri a Phoenix, capitale dello stato, nel corso delle manifestazioni sono stati effettuati circa 50 arresti da parte delle autorità nei confronti di militanti per i diritti civili e diverse organizzazioni per la difesa dei migranti. Di fatto anche lo stesso ministero della Giustizia, all’unisono con il presidente Barack Obama, aveva dichiarato l’incostituzionalità della legge approvata lo scorso aprile dalla governatrice Jan Brewer.

In un paese nato sulle ceneri dell’ideale illuminista di assoluta libertà individuale, alcuni elementi della legge SB1070 (questo il nome del tanto contestato decreto) sono apparsi eccessivamente restrittivi e potenzialmente forieri di azioni razziste (soprattutto anti-ispaniche) da parte delle autorità. Si parla in particolare della possibilità concessa alla polizia di arrestare dei liberi cittadini anche senza giustificato motivo, purché sospettati di essere entrati illegalmente nel paese. Inoltre la polizia avrebbe il compito di controllare lo stato di immigrazione di persone arrestate anche per altri motivi, il che comporta anche per gli immigrati legali l’obbligo di portare sempre con sé i documenti di immigrazione.

La decisione sarà presa dal giudice Bolton nelle prossime settimane, ma dopo gli scontri in piazza tra i manifestanti per i diritti civili e i sudisti avversi alle massicce immigrazioni di massa dal Messico, anche i politici si schierano in maniera nettamente contrapposta nei confronti dell’argomento. John McCain – l’ex candidato alla presidenza sconfitto da Obama – ha affermato che “anziché spendere i soldi dei contribuenti per intraprendere un’azione legale contro l’Arizona, l’amministrazione Obama avrebbe dovuto lavorare con il Congresso per fornire le risorse necessarie a sostegno di uno Stato che cerca di agire in un campo in cui il governo ha fallito”.

Ancora più acre Joe Arpaio, lo sceriffo della contea di Maricopa divenuto un simbolo vivente della legge sull’immigrazione, che non se la prende per la temporanea sospensione da parte del giudice Bolton: “Per noi non cambia nulla – spiega a Massimo Gaggi del Corriere della Sera – Chi vuole combattere l’immigrazione illegale, come facciamo in questa contea da tre anni, può continuare tranquillamente a farlo. Io ho già preparato le nuove carceri: tende nel deserto, dove la temperatura può arrivare fino a cinquanta gradi“. Parole che fanno accaponare la pelle, e dimostrano che l’elezione di Obama non è stata poi un tocco di acquasanta nelle regioni del Sud, da sempre più inossidabilmente xenofobe.

Roberto Del Bove