Sull’antico Egitto se ne son sempre dette di tutti i colori, a partire dalle bizzarre connessioni tra le piramidi e gli alieni per finire sulle presunte doti paranormali possedute da alcuni faraoni.
Ma forse non tutti conoscono la storia che si nasconde dietro ai geroglifici scoperti dall’archeologo Mariette, poco prima del ‘900, nel tempio di Dendera, a una settantina di chilometri da Tebe.
Durante quegli scavi, all’interno del tempio vennero ritrovate alcune cripte che svelarono delle pareti ricoperte da lastre di pietra incise, che risalirebbero al XV secolo a. C.
Queste lastre mostrano dei sacerdoti del tempio che stanno celebrando un rituale attorno a un oggetto che dovrebbe essere un fiore di loto, ma che alcuni appassionati di archeologia misteriosa interpretano come cavi elettrici d’alimentazione. Ecco qui la singolare storia cui si faceva riferimento poc’anzi. Questi appassionati vedono nella colonna dorsale di Osiride un avvolgimento elettrico, mentre i serpenti raffigurati sarebbero per loro le ‘serpentine’ che si trovano nei tubi di Crookes. Sulle lastre si può inoltre osservare una divinità che tiene in mano una coppia di pugnali: questa raffigurazione viene letta come un segnale di pericolo che si troverebbe proprio in prossimità del punto in cui dal tubo di Crookes escono i raggi x. La somiglianza è così forte che c’è chi ha ipotizzato che Crookes stesso abbia preso quei disegni come spunto decisivo per realizzare il suo macchinario a raggi “X”.
Grazie a questa lettura alternativa delle incisioni, i geroglifici scoperti da Mariette divennero noti come le ‘lampade di Dendera’. La teoria degli ‘egizi elettrici’ è stata portata avanti – con un certo coraggio – da alcuni ricercatori e appassionati, tra i quali si distingue il tedesco Erich von Daniken (noto per le sue teorie sulle relazioni tra antico Egitto e viaggi interstellari) che nel 1991 studiò a fondo i bassorilievi. Egli giunse alla temeraria conclusione che gli egizi avessero, già all’epoca, inventato l’elettricità.
A far luce (ehm) sulla faccenda ci pensano altri studiosi, i quali interpretano il tutto come una simbologia del tutto coerente con la mitologia egiziana: il serpente ancestrale che sorge dal fiore di loto è infatti una leggenda egizia assai conosciuta, e anche il sostegno è una figura tipica dell’arte egiziana. Dunque l’intera scena dovrebbe, secondo questi ricercatori, raffigurare la banale costruzione di due santuari.
Eppure, la tendenza a quella che Umberto Eco chiama ‘sovrainterpretazione’ è per alcuni un bisogno irrefrenabile. Ed è in questa maniera che il mondo antico, buio e a tratti sconosciuto, finisce per essere caricato di teorie che, molto spesso, sono molto più affascinanti che plausibili.
(Gianluca Bartalucci)