Abita a pochi chilometri da Treviso la bimba di cinque anni affetta dalla sindrome da ipoventilazione centrale congenita, anche nota come sindrome di Ondine, una malattia rara “caratterizzata da un’anormale risposta ventilatoria all’ipossia e all’ipercapnia, dovuto al mancato controllo della respirazione autonoma.” (A.I.S.I.C.C Associazione Italiana per la Sindrome da Iperventilazione Centrale Congenita).
I bambini affetti da questa malattia respirano in maniera normale durante la veglia, ma una volta addormentati non riescono a gestire la ventilazione, questo disordine del controllo della respirazione autonoma è associato ad una disfunzione del Sistema Nervoso Autonomo (SNA).
La sigla CCHS (Congenital Central Hypoventilation Syndrome) ha sostituito la vecchia definizione di Sindrome di Ondine, termine proveniente dal folklore germanico legato alla storia della ninfa acquatica Ondine, che si innamorò di un cavaliere mortale dal quale ebbe un figlio. Ben presto però il cavaliere la tradì, scatenando la sua ira e la conseguente maledizione: l’uomo sarebbe stato in grado di respirare fin quando fosse rimasto sveglio, una volta addormentato avrebbe perso il respiro morendo.
La storia germanica rispecchia purtroppo la situazione della bambina di Treviso e degli altri piccoli affetti da questa rara malattia, incapaci di controllare il proprio respiro una volta addormentati, e per questo bisognosi di dispositivi di ventilazione meccanica che li tenga in vita durante la notte.
L’ A.I.S.I.C.C informa che da un recente studio francese, si stima siano 1 su 200.000 nati i bambini affetti da questa malattia rara, provocata dalla mutazione di un gene, in Italia si attendono ogni anno circa due o tre casi. Purtroppo, nonostante i passi avanti compiuti dalla ricerca, che hanno portato all’individuazione del gene responsabile, non esiste ancora cura per questa sindrome, tutti i piccoli pazienti infatti sono costretti all’utilizzo di una macchina per respirare durante il sonno.
Una delle piccole vite colpite abita a Casale sul Sile vicino Treviso e da cinque anni, ogni notte viene attaccata ad una macchina per non morire. Appresa la notizia, dopo i primi mesi di difficoltà e disperazione, i genitori sono stati accerchiati dalla solidarietà e soprattutto dall’assistenza del servizio sanitario locale, che ha messo a disposizione della famiglia un macchinario per la ventilazione utilizzato dalla bimba ogni volta che si addormenta.
Grazie all’aiuto dell’Associazione nazionale ed al confronto con le altre famiglie che avevano vissuto prima di loro la drammatica esperienza, i genitori hanno potuto permettere alla propria bambina un’esistenza pressochè normale, ciò è stato possibile anche grazie alla ricerca che ha isolato il fenomeno e permesso di rintracciarlo attraverso un test Dna.
Il test ha salvato dalla morte molti neonati, che in passato morivano nel sonno per complicazioni respiratorie non meglio specificate, e che oggi hanno invece un’aspettativa di vita più lunga anche se costellata da difficoltà.
Giulia Di Trinca