Italia: Amauri azzurro, se ne sentiva il bisogno?

Amauri Carvalho de Oliveira, 30 anni

In fondo, un po’ curiosi lo eravamo. Tanto fragorosa fu la batosta sudafricana subìta dalla piccola Italia di Lippi, quanto furente la voglia di voltar pagina e guardare al futuro. Europei 2012, una strada lunga e faticosa verso Ucraina e Polonia. Da affrontare con rinnovato ottimismo, seguendo ordini e direttive del nuovo condottiero azzurro: Cesare Prandelli. L’uomo giusto, non c’è che dire. Esperienza, eleganza, competenza. E una voglia matta di far bene, sin da subito, dall’amichevole londinese contro la Costa d’Avorio in programma martedì prossimo. Da qui le prime convocazioni e boom, il primo ‘caso spinoso’. Di chi parliamo? Dell’oriundo juventino, naturalmente.

Amauri Carvalho de Oliveira, 30 anni, una stagione incolore alle spalle e tanta voglia di riscatto. Ne abbiamo già parlato in chiave bianconera, ma la sorprendente (o forse no) scelta di Prandelli spalanca ulteriori orizzonti di discussione, riguardanti anche l’Italia. Il brasilianissimo Amauri nel contesto azzurro: motivazioni alla base? Puramente tecniche. Qui è situato il primo scoglio: ok il disastro in Sudafrica, ok la scarsa produzione di talenti puri da parte del movimento nostrano. Ma per costruire un’Italia vera e forte, è il caso di attingere da altri paesi? Gli altri lo fanno, è un dato di fatto. La splendida Germania di Joachim Low si è presentata al mondiale con un ‘carrozzone’ d’eccellenti oriundi. Legittimo prendere esempio, ma il senso d’appartenenza deve restare un valore fondamentale, soprattutto per una nazionale. Con il dovuto rispetto per un professionista esemplare, quali motivazioni e quanto orgoglio potranno spingere il buon Amauri a lottare e sudare per una maglia che egli stesso un paio d’anni fa ammise di non sentir propria?

Il caso Camoranesi è un precedente di riferimento, ma già all’epoca si svilupparono giustificate polemiche. Ed occhio a non far confusione. Le esigenze tecniche son di primaria importanza, e certamente l’ingresso di un forte esterno, laddove esterni mancano, conta più dell’innesto un centravanti di peso. Perché l’Italia, non ce ne voglia Amauri, di attaccanti forti ne ha. Eccome. Uno su tutti, Giampaolo Pazzini, che probabilmente (in base al rendimento offerto nelle ultime stagioni) meriterebbe un posto certo nel team azzurro. Ma è facile scovare la magagna, ricordando i rapporti tesi e freddi tra Prandelli e Pazzini ai tempi di Firenze: scontro che portò l’attaccante a lasciare la maglia viola. Il tempo dei giudizi è ancora lontano, è bene dirlo. Prandelli s’è presentato al meglio, rispolverando il beniamino del popolo Cassano e puntando dritto su Balotelli. Ma occhio a non ripetere gli errori lippiani e a non ragionare per simpatie ed antipatie. Tale strada è stata già percorsa, con i malinconici esiti che noi tutti conosciamo.

Alessio Nardo