Il giorno dopo che una commissione apposita del Ministero della Giustizia ha dato il via libera alla raccolta delle 100 000 firme per propugnare la pena di morte verso chiunque si macchi di “un omicidio intenzionale o un assassinio, in concorso con atti sessuali con fanciulli, coazione sessuale o violenza carnale”, i sostenitori della campagna hanno ritirato la loro iniziativa.
Senza fornire troppe spiegazioni, hanno fatto sapere di aver abbandonato la proposta, nata, tra l’altro, anche dai parenti di una donna uccisa l’anno scorso. Ma la questione che sottostava alla raccolta firme era più strutturale. Secondo i propugnatori infatti, il sistema della giustizia elvetica starebbe più dalla parte dei carnefici che da quella delle vittime.
“Il nostro obiettivo principale era far conoscere il problema alla popolazione” e “la campagna era l’unico modo per noi per far sentire la nostra voce” ha precisato il “comitato per la pena di morte”. Le loro tesi avevano però scatenato ondate di reazioni negative. Tra i cosiddetti buonisti e i tolleranti infatti gli avversari di una simile proposta non avrebbero potuto certo essere in numero esiguo.
Certe iniziativa nascono solitamente dalla rabbia delle vittime, quelle poche che sopravvivono a tentati omicidi con annesso stupro, che siano esse minorenni o meno, oppure dei loro parenti, che vedono venire a mancare figlie/figli, mogli, fidanzate, sorelle. C’è chi sostiene che applicare la pena di morte nei riguardi ci chi si rende responsabile di comportamenti tanto efferati non faccia altro che “assimilare”, per quel verso, la società civile ai suddetti comportamenti. Altri invece, sostengono che sia l’unico modo per liberare la stessa società, da un male endemico e che si auto-riproduce tanto più velocemente quanto più non lo si contrasta con le sue stesse armi: violenza e morte quindi.
E’ difficile capire da che parte stia la ragione, in quanto se è pur vero che, uccidendo il reo, come ad esempio avviene in alcune parti degli Stati Uniti, si elimina il singolo problema alla radice (certo il provvedimento non esclude, pur magari riuscendo a scoraggiarli, che altri compiano gesti simili o peggiori di quanto compiuto dal condannato a morte), è anche vero che, l’utilizzo della violenza, in ogni caso legata all’acquisizione di potere su un’altra persona, può portare ad esagerazioni e ad errori fatali. Fatali, in quanto se un innocente resta in carcere 10 anni, è una tragedia, ma vive e, seppur parzialmente può riabilitarsi e/o essere riabilitato, se invece viene giustiziato, a lui mancherà anche questa possibilità.
A.S.