Era il 1984 e Tim Burton non era ancora il guru del cinema che è oggi. Era sconosciuto al grande pubblico ed aveva avuto modo di lavorare nella Disney in qualità di disegnatore (talento che non ha mai abbandonato), sebbene la sua fantasia di impronta fortemente “dark” non fosse congeniale ai suoi datori di lavoro. Fino ad allora il suo unico lavoro era stato il corto in stop-motion Vincent (1982), che portava già i segni della sua poetica cupa e improntata alla ricerca affannosa di un rifugio fantastico, lontano dalla routine quotidiana.
In quello stesso 1984 Burton girò Frankenweenie, un cortometraggio che gli costò il posto di lavoro alla Disney, la quale lo licenziò accusandolo di aver sprecato risorse ed energie della compagnia per un lavoro di dubbio gusto e di scarso successo. Ora – ironia della sorte – dopo essere ritornato a braccetto con la multinazionale di Topolino dirigendo Alice in wonderland, Burton sta girando un remake proprio di quel cortometraggio, che questa volta avrà la forma di un lungometraggio in stop-motion. C’è comunque da aspettare: la distribuzione nelle sale è prevista per il 9 marzo 2012.
Chi saranno i doppiatori? Non è difficile da immaginare. Tutti sanno come Tim Burton abbia degli inseparabili feticci: un attore come Johnny Depp (per citare il caso più eclatante) è considerato oramai il suo alter ego, la sue anima gemella – artisticamente parlando – che non ha quasi mai lasciato il fianco del regista di Burbank nel corso di tutta la sua carriera. Anche in questo caso Burton non si è smentito, e per doppiare Frankenweenie ha chiamato a raccolta una schiera di attori che hanno già lavorato con lui in passato: da Winona Ryder (Edward mani di forbice) a Martin Landau (premio Oscar per Ed Wood), fino a Martin Short (Mars Attacks!) e Catherine O’Hara (Beetlejuice). Anche lo sceneggiatore è un vecchio collaboratore di Burton: si tratta di John August, già sceneggiatore di Big fish.
La storia di Frankenweenie è una rivisitazione in chiave ironica del mito di Frankestein e dell’omonima pellicola del 1931. Un bambino (Victor, il cui cognome è appunto Frankestein) si diletta a girare film con il suo cane Sparky. A seguito di un incidente, però, il cucciolo muore e al disperato padrone non resta che cercare di riattaccarne le parti, tentando di ridargli vita attraverso degli impulsi elettrici. L’operazione avrà buon esito e il cane tornerà in vita, ma questa volta morirà a causa dei pregiudizi della gente, che in lui non vede altro che un mostro. La sua morte, però, sarà un’occasione di presa di coscienza e redenzione da parte della popolazione. Ritroviamo quindi alcuni elementi costanti della poetica burtoniana: l’estetica del freaks, il rifiuto del pregiudizio, il ricorso alla fantasia (e al cinema in particolare) per fuggire dalla monotonia quotidiana. C’è da scommettere che questi elementi ricorreranno anche nel lungometraggio; e c’è da sperare che, dopo il discutibile Alice, il ritorno a tematiche “dark” segni il rientro nell’Olimpo del genio di Tim Burton.
Roberto Del Bove