“20 sigarette”: Nassyriah raccontata da chi l’ha vissuta

Via la facile retorica, via visioni posticce della realtà dei fatti. Solo chi c’era può raccontare le cose come sono andate, dando loro l’unico spettro possibile e credibile: quello del proprio personale punto di vista. Questo è ciò che ha fatto il regista Aureliano Amadei, regista esordiente di Roma, con il suo 20 sigarette; film con il quale ha trionfato anche alla Mostra del Cinema di Venezia aggiudicandosi il premio “Controcampo Italiano”. Un’opera prima che con coraggio mescola l’autobiografia di Amadei al tragico evento della strage di Nassyriah, di cui egli stesso è stato testimone e – anche se solo in parte – vittima.

Con registro che varia dalla commedia, all’inserto metacinematografico (tutto il film è narrato con il voice-off) fino al dramma e al reportage di guerra, il film racconta la storia di un 28enne del 2003 un po’ svogliato e fancazzista, ma con ambizioni cinematografiche. Coinvolto come aiuto regista in un progetto in Iraq, al seguito del regista Stefano Rolla, Aureliano non fa in tempo a fumare le venti sigarette del suo pacchetto che si trova proprio nella caserma di Nassyriah nella mattina della strage. Si salva per miracolo, rimettendoci quasi un piede; ma molte  delle persone che ha conosciuto – il regista Rolla, tutti i militari verso cui nutriva pregiudizi e che hanno mostrato invece il lato umano – perdono la vita nella strage. Aureliano si costruirà una vita, ma – sebbene sopravvissuto – continuerà a portare le cicatrici fisiche e morali di quanto accaduto.

Molto coraggiosa la scelta di Amadei di raccontare sé stesso, senza eccessiva retorica, mettendo a nudo propri vizi e virtù usando più registri stilistici sia a livello di montaggio che a livello di inquadrature. Notevole anche il modo in cui il regista romano ha affrontato la scena della strage, scegliendo di mostrarla con una lunga sequenza in soggettiva del suo protagonista-alter ego. Il passaggio di Aureliano da anarchico anti-militarista a posizioni solo apparentemente più moderate (più misantrope, a dire il vero) è credibile, nonostante la sceneggiatura in alcuni punti rischi di cadere un po’ nel retorico. Ma fossero così tutte le opere prime e le cose, per il cinema italiano, andrebbero decisamente meglio. Menzione speciale per l’interpretazione di Vinicio Marchioni, già nel ruolo del “Freddo” nella serie romanzo criminale, qui a suo agio in un ruolo che chiede risate e lacrime in quantità.

Roberto Del Bove