In principio ci furono Susy e Gianluca, poi toccò a Samuele, Raffaella, Youssef, Paola e Valeria, un anno dopo a Chiara e Meredith, distanti l’una dall’altra poco meno di cinquecento chilometri e poco più di tre mesi. Stavolta è il turno di Sarah.
Li chiamo per nome, perché è con quello che si sono affermati al grande pubblico. Sì, con il nome e con il sangue. Quello fuoriuscito dai loro corpi per poi finire dritto sulle prime pagine dei giornali o sulle scenografie della maggioranza dei programmi di approfondimento o almeno è così che li chiamano.
Il cognome non importa, ha il sapore del distacco e della lontananza mentre quello che serve qui è vicinanza, calore, animosità. E peccato che ancora la tecnologia non sia capace di riprodurre gli odori: sarebbe stato interessante percepire l’aroma ferroso del sangue.
Un giorno Pasolini parlando della morte la paragonò al montaggio cinematografico, in quanto essa darebbe alla vita ciò che il montaggio dà al film: il senso. L’esistenza, secondo lo scrittore bolognese, è «un caos dove tutto può ancora succedere»; la morte, dal canto suo invece, pone una fine e così facendo chiarisce ogni azione alla luce di un «mai più modificabile», un «fulmineo montaggio».
Ma siamo pure certi che Pasolini non avesse in mente né Porta a Porta, né Matrix, né fate voi.
Il voyeurismo sensazionalistico è diventata la lente attraverso cui ci si guarda gli uni con gli altri, è un modo di essere che ha modificato tutti a livello antropologico.
Intendiamoci: i pettegolezzi e le curiosità morbose sono sempre esistite, non abbiamo dovuto attendere il Grande Fratello per desiderare di farci gli affari altrui; però oggi guardare il male, l’imbarazzante, il non accettabile nell’altro è diventato il modo più conveniente per autoassolversi. Se c’è chi è capace di ammazzare con novanta pugnalate la propria madre, cosa volete che sia qualche peccatuccio qui e lì.
Ma il sangue ha anche tanti altri vantaggi. Ti permette, ad esempio, di concentrare l’attenzione su un fatto privato di cronaca nera, spesso svincolato da precise cause sociali ma semplicemente evento tragico che rientra nella casistica di un mondo imperfetto, per chiudere un occhio, se fosse il caso anche due, sui motivi politici dell’immobilità italiana, sui misfatti di chi governa.
Ma anche i familiari delle vittime oramai sono cambiate: sempre più capaci ad accettare le luci dei riflettori che illuminano la propria tragedia, a volte viene anche il dubbio che possano pensare: se proprio deve essere tragedia, che almeno sia mediatica.
Presto, prima che dalla prossima vittima sgorghi il suo sangue e ci rubi la scena.
Nella foto: un fotogramma tratto da una punta di Porta a Porta dedicata al caso di Garlasco.
Simone Olivelli