Martedì 28 settembre si è aperto il ciclo di incontri sulla Prima Repubblica tenuti dalla Fondazione Corriere. La prima tavola rotonda, moderata da Ferruccio De Bortoli e introdotta dallo storico Galasso, ha trattato il tema dell’ “Evoluzione e crisi della classe dirigente” e ha visto partecipi, in qualità di relatori, Achille Occhetto, Ciriaco De Mita e Claudio Martelli. Gli esponenti delle principali tradizioni partitiche (PCI, DC, PSI) dell’Italia 46-94 hanno riletto la storia politica italiana, in un acceso dibattito di ‘antico sapore’ che di seguito tenteremo di riassumere.
La discussione comincia con l’invito di De Bortoli a guardare al dibattito come a un possibile strumento per giudicare il nostro presente politico, sul quale possediamo ancora uno sguardo miope: nella parabola della vecchia classe dirigente è possibile trovare caratteristiche sociali e di indirizzo politico che spostano gli accenti rispetto alla politica attuale, come una maggiore coesione intorno allo spirito nazionale o il prevalere della dimensione della rappresentanza su quella della stabilità.
Giuseppe Galasso, storico e giornalista, compie poi un veloce excursus sugli eventi di quegli anni, prendendo le distanze dalle varie interpretazioni delle cause della crisi della Prima Repubblica (caso Moro, caduta del muro di Berlino, crisi morale della politica). Lo storico sostiene invece la tesi che la crisi sia dovuta al venir meno di quell’istanza modernizzatrice che aveva caratterizzato la DC e, in parte, il PCI degli anni ’50, capaci di restare vicini al paese. Questa la tesi con cui si confrontano Occhetto, De Mita e Martelli, mentre battagliano tra loro per il partito che, allora, aveva meglio saputo leggere il corso della storia.
Per Achille Occhetto, primo relatore, la parabola della Prima Repubblica ha ricalcato l’involuzione della classe politica: inizialmente classe dirigente capace di interpretare una realtà vivificata da un sano scontro ideologico, essa si sarebbe trasformata in classe dominatrice, priva di funzione storica e capacità politica. I motivi del cambiamento starebbero nel declino del partito comunista, che tolse agli altri partiti la loro funzione di “scudo”, e nella fine dell’unità politica dei cattolici.
Ciriaco De Mita controbatte vivacemente a questa lettura storica, fatta, secondo il politico, attraverso criteri “culturali e astratti”. Per il democristiano, la politica è saper fornire risposte alle domande della società (“per questo la DC fu politica”): il declino della Prima Repubblica starebbe nello sforzo non riuscito di compiere questo significato di politica, poichè esso veniva impedito dal passaggio dall’idea di legge come principio alla legge come provvedimento; e, dunque, dal passaggio dalla politica come principio, alla politica che si “occupa di procedure”.
E’ stato Claudio Martelli a chiudere il dibattito. L’ex esponente del partito socialista, dopo aver sostenuto la tesi secondo cui, negli anni 80, l’ideale democratico così come era stato inteso da DC e PCI non era più al passo dei tempi, ma si era trasformato in un ideale deviato di democratizzazione, ha voluto esprimere la sua angoscia per la condizione presente della politica. A partire da un sistema elettorale inefficiente, dovuto anche ad una mancata risposta della Prima Repubblica, secondo Martelli in Italia vigerebbe un difetto di democrazia.
Giulia Antonini