È passato ormai un anno dalla morte di Stefano Cucchi e ancora non è arrivato il momento della verità, della giustizia.
Non sono poche le zone d’ombra che permangono ancora nella ricostruzione degli ultimi giorni di vita di Stefano.
Arrestato dai carabinieri la notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, a casa dei genitori, perchè in possesso di una modica quantità di sostanze stupefacenti, il giovane trascorre la notte in caserma e l’indomani, con un processo per direttissima, il giudice ne dispone l’arresto in carcere in attesa dell’udienza successiva. Ai genitori viene impedito di vedere il figlio e mai più potranno riabbracciarlo. Così, solo dopo aver ricevuto dai carabinieri la notifica del decreto col quale il pm autorizza l’autopsia sul corpo di Stefano, la famiglia viene a sapere il 22 ottobre che il ragazzo è morto all’ospedale “Sandro Pertini” di Roma. E’ in questo barbaro modo che i genitori apprendono l’avvenuto decesso di Stefano. Appare sin da subito evidente dalle condizioni del cadavere che la “caduta dalle scale”, con cui in un primo tempo si cerca di motivare la morte, non regge. Stefano è l’ennesima vittima della violenza dello Stato, Stefano è “morto di carcere” per le botte ricevute.
Intanto, a un anno dalla tragedia parla Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, che intervenendo a Radio 24 dichiara con rammarico: “La pena di morte in Italia non esiste, ma per mio fratello è stata applicata”. Ilaria, che sul caso ha scritto (insieme a Giovanni Bianconi, inviato del Corriere della Sera) un libro dal titolo “Vorrei dirti che non eri solo”, ha anche commentato il risarcimento di 2 milioni di euro ottenuto dalla famiglia di Federico Aldrovandi, morto durante un fermo di polizia a Ferrara: “Il risarcimento che chiedo allo Stato è semplicemente la verità – ha detto – verità da cui oggi siamo lontani”.
“Paragonare un risarcimento economico a una vita umana mette davvero tristezza – ha aggiunto la sorella di Stefano – ma è importante come segnale, è un modo dello Stato per ammettere che al proprio interno qualcosa non ha funzionato e quel qualcosa è costato la vita a qualcuno. E’ quasi un modo di chiedere scusa, allora assume un contesto diverso. Un risarcimento per la nostra famiglia? Noi siamo all’inizio di questo percorso, parlarne mi sembra talmente impensabile. Il risarcimento che chiedo allo Stato – ha concluso Ilaria – è la verità, da cui oggi siamo lontani”.
Raffaele Emiliano