Ruolo molto ambito e ricco di fascino nell’ambito del processo penale è quello del Pubblico Ministero. Il Sostituto Procuratore della Repubblica è colui che instaura l’impianto accusatorio. Il fulcro centrale del processo. Per chi ama i legal thriller è colui che generalmente è impersonato dall’antagonista dell’avvocato che assume il caso senza speranza ma che all’ultimo momento riesce a risolvere con un colpo da maestro. Da quanto brevemente detto è una figura essenziale nel corso di tutto l’iter processuale.
Per iniziare elabora la contestazione. Individua il reato a cui può essere ricondotto il caso concreto. Ma più importante di ogni cosa è la richiesta di pena. Al termine del dibattimento infatti è proprio il Pm che si rivolge al Tribunale chiedendo, qualora ne sussistano gli elementi, una sentenza di condanna. Allo stesso tempo ne determina il quantum. Questa è la teoria.
Passiamo alla pratica. Anche chi è completamente profano in maniera di diritto avrà colto l’importanza che riveste questo ruolo. Praticamente può decidere del destino di un imputato con una semplice richiesta di condanna o di assoluzione. Una responsabilità enorme specialmente quando si tratta di reati gravi e non comprovati al cento per cento. Tale richiesta viene formalizzata al Tribunale al termine del dibattimento. Praticamente dopo aver valutato tutti gli elementi di prova che sono a sostegno dell’accusa, ad esempio ascoltando testimoni, valutando prove documentali e quant’altro a seconda del caso specifico. Solo dopo questa attività il Pm avrà una cognizione della vicenda tale da giustificare la sua richiesta. Ebbene si presuppone che per ragioni di equità il Pubblico Ministero sia interessato a seguire personalmente tutta la vicenda. Invece questo accade molto raramente. Di solito avviene per quei procedimenti che hanno risalto mediatico dove c’è un interesse anche alla pubblicità che ne deriva. Nella generalità dei casi le varie udienze non sono seguite dal magistrato che ha svolto le indagini. Spesso si alternano due, tre, anche quattro magistrati per lo stesso processo. Tutto ciò avviene semplicemente per ragioni organizzative. In quella tale data in cui è fissata udienza, è prevista, sulla base dei turni, la presenza di un magistrato diverso da quello della precedente.
Questa situazione potrebbe essere accettabile nelle udienze in cui vanno esaminati testimoni o compiuta altra attività processuale. Rasenta lo scandalo quando si tratta dell’udienza di chiusura del dibattimento. Quando, come spiegato in precedenza, devono essere esplicitate le richieste di pena per gli imputati. Come può un Pm che ha letto a malapena il fascicolo in una settimana pensare di avere cognizione di un processo che può durare anche decenni? Questo significa giocare con la vita delle persone, che possono essere anche i peggiori delinquenti, ma in ogni caso hanno il sacrosanto diritto di essere processati da magistrati che conoscono a fondo il processo. Invece spesso ciò non accade.
Questa situazione non può passare inosservata. In un paese dove da anni si predicano riforme della giustizia non viene nemmeno accennato a problemi del genere che per chiunque dovrebbero essere più gravi delle modalità di utilizzo delle intercettazioni. Questo, sia ben chiaro, non vuole essere un attacco ai Pubblici Ministeri come categoria: se ne sentono anche troppi. Si vuole soltanto evidenziare che questi difetti di organizzazione rendono la giustizia difficilmente realizzabile, lasciando spazi incolmabili al dubbio, all’incertezza, al caos o al caso che dir si voglia.
In attesa che ci si renda conto di queste paradossali lacune l’unico rimedio è sperare che in futuro nel processo penale Pubblico Ministero e giudice facciano coppia fissa ed affiatata, e non siano invece tanti partecipanti a confusionari balli di gruppo nei quali ti trovi circondato di talmente tante persone che alla fine non sei riuscito a capire nemmeno cosa e con chi hai ballato. In una gara di ballo al massimo non si vince la coppa. In un tribunale penale in questo modo non ci sono vincitori ma solo un potenziale perdente: l’idea di giustizia nell’immaginario collettivo.
Ulderico Carbonara