Paul Davies. Ecco il nome di colui che sarebbe pronto ad accogliere ufo e alieni, in gran segreto, se un giorno dovessero giungere sul nostro pianeta. Sarà il leader di un team di scienziati, avvocati e filosofi che gestirà il primo contatto.
Davies è un fisico inglese di fama mondiale, saggista e divulgatore scientifico, noto alla comunità scientifica anche per i suoi studi di cosmologia e di esobiologia. Inoltre dal 2005 è direttore del programma Seti Post-Detection Science and Technology Taskgroup dell’Accademia Internazionale di Astrofisica. E’ docente all’Arizona State University nonché autore di oltre venti pubblicazioni.
La clamorosa notizia dell’incarico assegnato a Davies è stata pubblicata su Sette, il magazine del Corriere della Sera in cui è possibile leggere l’ottimo servizio di Sara Gandolfi. Non pare un caso che l’incarico al cosmologo arrivi sulla scia della presunta nomina dell’Onu di un ambasciatore per gli alieni.
“Non sanno che noi siamo qui”, dichiara lo scienziato inglese. Sarebbe questa la spiegazione per cui gli alieni non ci stanno cercando?
Il progetto del Seti (Search for extraterrestrial intelligence) è finanziato, come gran parte delle sue attività, da uno che agli alieni ci crede da sempre: il miliardario cofondatore di Microsoft Paul Allen, che ha fornito pure i 25 milioni di dollari per l’Allen Telescope Array in California. Il radiotelescopio da tre anni è puntato verso gli “altri mondi” del cosmo per captare un segnale elettromagnetico. Per ora tutto tace.
Davies spiega il mistero di questo “silenzio alieno” lungo millenni: “La civiltà più vicina, presumibilmente, è a non meno di un migliaio di anni luce da noi, così adesso loro vedrebbero la Terra come era mille anni fa, nel 1010, ben prima che inventassimo i radiotelescopi. Gli alieni potrebbero iniziare a trasmettere segnali radio verso di noi quando riceveranno i nostri, ossia tra circa 900 anni. Poi, ce ne vorrebbero altri 1000 perché la loro risposta arrivi”. E’ un’eternità, che per Davies si può colmare iniziando a monitorare, oltre all’universo, il nostro stesso pianeta e ciò che lo circonda più da vicino. Sì, perché il cosmologo sembra davvero convinto che l’ “invasione”, seppur pacifica, sia già iniziata.
Bisogna quindi cercare segnali di un’esistenza aliena, presente o passata: “Discariche nucleari, tracce di ingegneria mineraria nel sistema solare, messaggi in bottiglia sotto forma di informazioni digitali cifrate all’interno del Dna di organismi terrestri e via dicendo. Magari, poi, dimostrare che la vita non è un incidente casuale e raro, che anche sulla Terra può essere avvenuta più di una genesi”.
Di tutto questo e oltre il prof. Davies ne parlerà il 31 ottobre alla conferenza del Festival della Scienza, a Genova.
Pasquale Gallano
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