
“Il governo norvegese -ha dichiarato in una conferenza stampa la portavoce del ministero degli esteri Jiang Yu– ha espresso apertamente il suo appoggio, è difficile mantenere relazioni amichevoli con la Norvegia come in passato”. Il problema di Liu Xiaobo -ha aggiunto Jiang Yu- non è un problema di diritti umani ma un problema di rispetto della sovranità legale di tutti i Paesi”. E la Cina dalle parole è passata subito ai fatti, rimandando a data da destinarsi la firma di un accordo di libero scambio con il governo di Oslo.
Sfruttando la sua importanza sullo scacchiere internazionale, la Cina ha invitato una lettera alle ambasciate di vari paesi per chiedere di boicottare la cerimonia del 10 dicembre. Un appello accolto da Russia, Cuba, Iraq, Marocco e Kazakistan. Al contrario hanno già confermato la loro presenza i rappresentanti di 36 stati, tra cui l’Italia.
Rinchiuso in carcere con una condanna per “istigazione alla sovversione”, l’autore di Charta 08 – un documento che chiedeva l’istaurazione di un governo pienamente democratico in Cina- non sarà ovviamente presente alla cerimonia. E non ci sarà neanche sua moglie Liu Xia, agli arresti domiciliari da quasi due mesi, né i due fratelli di Liu Xiaobo a cui è stato proibito di lasciare la Cina nei prossimi mesi. A rappresentare la causa di Liu, saranno presenti alla cerimonia Yang Jianli, anche lui dissidente e professore di Harvard, Irwin Cotler, avvocato esperto di diritti umani e membro del Parlamento canadese, e Maran Turner, direttrice del gruppo umanitario Freedom Now.
Annastella Palasciano
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