Era l’8 dicembre 1980 e Mark David Chapman, a quanto pare, i fatti suoi proprio non poteva farseli. Con l’idea di trasformare l’uomo che idolatrava in una leggenda, si avvicinò a John Lennon – che rientrava nella sua casa sulla 72° strada – e gli sparò cinque colpi di pistola, togliendoli la vita. Da allora uno dei più grandi artisti del nostro secolo, la mente dei Beatles (ok, cinquanta e cinquanta con Paul McCartney), il ribelle rockettaro e intellettuale, il pacifista che faceva conferenze stampa nudo nel letto, è entrato nell’empireo dei Miti del Novecento – e non solo della musica.
Ora il mondo si prepara a ricordarlo doverosamente, a trent’anni dalla sua scomparsa (e settant’anni dalla sua nascita). È attualmente nelle sale il film Nowhere Boy di Sam Taylor Wood, incentrato sull’adolescenza di Lennon, la sua educazione nella Liverpool degli anni ’50 e il difficile rapporto con la madre. Inoltre il canale Cielo (in chiaro su piattaforma Sky) mercoledì 8 dicembre dedicherà all’artista un’intera serata: si inizia dalle ore 21.00 con la prima visione per l’Italia di Lennon: Naked, il documentario della BBC che ripercorre le tappe fondamentali della vita dell’artista. Si prosegue alle 22.30 con Across the Universe il musical di Julie Taymor basato su 33 canzoni dei Beatles, che da Liverpool a New York ci riporta in piena atmosfera Sixties. Presenti nel cast anche Evan Rachel Wood (Lucy), Jim Sturgess (Jude) e Joe Anderson (Max Carrigan).
Ma non si tratta solo di memoria, anzi. Ben lungi dall’essere un mito spento e fatiscente, quello di Lennon e e dei Beatles continua a incantare, influenzare e – perché no – incassare. Lo sbarco dei Fab Four sull’iTunes store, il più grande negozio virtuale di musica al mondo, è stato un successo coronato da numeri di vendita impressionanti (per la doppia gioia di Steve Jobs, fan dei Fab Four e patròn di Apple). Specie se consideriamo che il gruppo in questione si è sciolto 40 anni fa.
Alla luce di tutto questo, c’è davvero da piangere per John Lennon? C’è il rimpianto, certo, per tante altre belle canzoni che forse il buon vecchio John ci avrebbe regalato; e c’è la nostalgia di quei Sixties che chi non ha vissuto favoleggia e chi ha vissuto mitizza. Ma come ebbe a dire Lester Bangs, chi pianse e piange Lennon lo fa più che altro pensando al momento storico-culturale che lui e i Beatles hanno rappresentato: “è quello il momento che state piangendo – scrisse Bangs – e non l’uomo John Lennon […]. In definitiva, state piangendo voi stessi“. E citando Gabriél García Marquez, con un pizzico di spirito filosofico viene da dire: “Non piangere perché è finito; sorridi perché c’è stato”.
Roberto Del Bove