Si potrebbe dire addio all’invasivo e spesso pericoloso esame dell’amniocentesi, fino ad ora necessario per stabilire la presenza di una malattia genetica in un nascituro. I ricercatori della Chinese University of Hong Kong e del Prince of Wales Hospital di Hong Kong hanno infatti dimostrato che è possibile analizzare il genoma del bimbo con un semplice test del sangue che permetta di separare il suo Dna da quello della madre.
Per il loro studio -pubblicato su Science Translational Medicine– i ricercatori cinesi hanno reclutato una coppia preoccupata che il figlio ereditasse la beta-talassemia, una malattia che provoca anemia. Hanno poi eseguito una mappatura del dna dei genitori – utilizzando un campione di sangue- per poter identificare per differenza il genoma del piccolo. Per distinguere nel plasma materno il Dna del bambino è stata eseguita una villocentesi che ha permesso di separare i filamenti di madre e figlio (presenti in un 10 per cento nel plasma della donna). Grazie a questo, i ricercatori hanno potuto ricostruire la mappatura genetica del feto e scoprire che era portatore sano della malattia.
“La scoperta di Dna fetale libero nel plasma materno, nel 1997 -hanno spiegato i ricercatori- ha aperto nuove possibilità per una diagnosi prenatale non invasiva. Tuttavia, i precedenti lavori in questo campo si erano concentrati sul rilevamento di uno o di un piccolo numero di target genetici del feto nel plasma della mamma”. “Prima di questo lavoro -hanno aggiunto- non era chiaro se l’intero genoma fetale fosse rappresentato nel plasma materno né se la sua quantità fosse in proporzioni costanti rispetto a quest’ultimo. Ora, lo studio sembra dare finalmente una risposta positiva a questo quesito”.
Prima che questa procedura possa essere utilizzata per scoprire la presenza di malattie genetiche, è necessario però superare alcuni ostacoli. Primo fra tutti, la difficoltà di identificare il genoma fetale nel plasma materno: non soltanto perché costituisce soltanto il 10 per cento del composto, ma anche perché si trova sotto forma di frammenti di Dna liberi di circolare. In questo caso è stata usata la tecnica della villocentesi, cioè proprio uno degli esami che la nuova metodica dovrebbe evitare. E non bisogna inoltre sottovalutare, come opportunamente segnalato dagli stessi ricercatori, “che questo nuovo approccio solleva numerose questioni etiche, legali e sociali che richiederanno un’attenta discussione tra i clinici, gli scienziati, i bioeticisti e la comunità in generale”.
Annastella Palasciano