Genova, 16 dicembre. La vicenda è ormai già nota. Sul web è rimbalzata a ritmi impressionanti. Un solo giorno è bastato per portare all’attenzione di milioni di persone l’incredibile morte del cane Athos, mascotte della nave Jolly Amaranto, affondata a pochi metri dal porto di Alessandria d’Egitto, dopo aver resistito a tre giorni di tempesta in mare aperto. Nessun umano ha perso la vita, solo lui Athos, vittima della sua fedeltà. Il Corriere della Sera, onora il quattro zampe (e se stesso) dedicandogli una pagina intera. Probabile che molte altre testate si siano comportate in egual modo.
La nave sta colando a picco, i marinai vengono tratti tutti in salvo e la stessa cosa avviene per la mascotte pelosa, caricata su un rimorchiatore assieme agli altri. Il cane però, che ha vissuto sulla Jolly Amaranto quasi tutta la sua vita ( 5 anni), con un balzo più da felino che da animale domestico salta dal mezzo di soccorso, si tuffa in mare cerca di raggiungere quella che era sempre stata la sua casa. Il rimorchiatore continua la sua corsa, non fa nemmeno a tempo a fermarsi e le onde generate dalle sue eliche travolgono inesorabilmente il povero Athos, che muore annegato.
Di eroe in questa storia ce n’è anche un altro, stavolta umano. Un marinaio, forse come tanti altri, forse solo il più veloce. Pietro De Marco non esita, si getta in mare nel tentativo di salvare il suo amico peloso, ma viene bloccato dai soccorsi, che non avrebbero potuto comportarsi diversamente. Pietro, Athos non l’avrebbe probabilmente mai raggiunto ed era lui stesso a rischiare seriamente la vita.
Fin qui la cronaca, ma, viene da chiedersi, se questa storia possa insegnare qualcosa. Forse sì. E’ Natale, tempo di regali. Tra questi, si fanno largo come tutti gli anni, i cuccioli. Di cane o di gatto, solitamente, senza disdegnare conigli e altri animali “esotici”. Gli animalisti ogni anno invitano a non comprare questi cuccioli nei negozi. Già, i canili e i gattili sono pieni se non proprio di cuccioli di tanti pelosi di mezza età o anziani. Ognuno con la sua triste storia. Qualcuno è stato abbandonato, qualcun altro maltrattato. C’è poi chi viene rispedito al mittente dopo qualche mese perchè “sa, è diventato troppo grosso”, “sporca in casa”, “è arrivato un bambino, non c’è più posto”. Secondo quanto riportato su siti specializzati e social network sono questi, solitamente, i motivi addotti dai proprietari, che concludono il loro discorso con un lapidario ” mi dispiace, non posso più tenerlo”.
A volte tutto ciò è vero, le difficoltà sono le più disparate, reali ed inaffrontabili (soprattutto in tempi di crisi), a volte, forse, no. La conclusione è che il peloso di turno finisce dalla poltrona alla gabbia. Se è fortunato trova delle persone che si prendono cura di lui, per quel che possono fare, se è molto fortunato (caso raro) viene ri-adottato da qualche anima pia. Se invece il destino è contro di lui termina i suoi giorni dietro le sbarre da solo e dimenticato da tutti. Nessuno lo ricorderà nemmeno dopo morto.
Non che i cuccioli presenti nei negozi meritino meno attenzioni. La fedeltà di ogni cane è uguale a quella che Athos, con il suo gesto estremo, ha portato all’attenzione di tutto il mondo. A chi poi pensa che i gatti siano diversi, più “menefreghisti”, si potrebbe facilmente rispondere “provate ad adottare un gatto anziano” oppure “provate voi per primi a dimostrare affetto (un affetto vero) al vostro micio, il risultato sarà a dir poco sorprendente”. Qualsiasi cosa si provi a fare però, richiede prima oculate valutazioni.
Il “vostro Athos”, in qualunque modo lo chiamiate e a qualsiasi specie appartenga, non merita certo di essere illuso. Se la barca dovesse malauguratamente affondare, lui ne condividerà il destino, cercando fino all’ultimo di alleviare le sofferenze al suo capitano.
A.S.