“Il crescente utilizzo di parole e sigle in inglesi mina seriamante la purezza della lingua scritta parlata cinese“. A sostenerlo è l’Amministrazione generale della stampa e per le pubblicazioni (Gapp) che ha vietato ai mezzi di comunicazione nazionali di inserire nei loro testi termini non tradotti al mandarino.
Secondo una direttiva emanata dall’ente governativo di Pechino e pubblicata oggi dai giornali, “le parole straniere mischiate con quelle cinesi danneggiano gravemente la purezza della lingua cinese e turbano l’altrimenti sano e armonioso ambiente culturale” ed esercitano anche “un influsso negativo sulla società“. Proprio per questo motivo “è vietato introdurre parole straniere in pubblicazioni scritte in cinese e creare neologismi di significato poco chiaro”. I termini stranieri saranno accettati solo se accompagnati da una specifica traduzione al cinese o da una spiegazione. I media che violeranno tali norme si esporranno a “sanzioni amministrative”, non meglio specificate.
I mezzi di comunicazione cinesi usano regolarmente termini inglesi ormai diventati parte integrante di un vocabolario globalizzato. Sigle come PIL (prodotto interno lordo) Gdo (prodotto interno lordo), abbreviazioni come Cpi (indice dei prezzi al consumo) o parole come cool (alla moda) sono utilizzati nel cinese parlato e compaiono frequentemente nei testi scritti, soprattutto i libri di economia. Il quotidiano in lingua inglese China Daily ha pubblicato le dichiarazioni del direttore di una casa editrice cinese che ha fortemente criticato la misura adottato dall’organismo che controlla le pubblicazioni nel paese ” L’intenzione di proteggere la lingua cinese -ha detto l’uomo che chiesto di rimanere anonimo- è buona, ma nell’epoca della globalizzazione, quando alcune sigle in inglese come WTO (organizzaizone Mondiale del Commercio) sono ampiamente accettate dai lettori, eliminarle mi sembra esagerato”. ” Nella conversazione- ha continuato il direttore- la gente utilizza ugualmente queste parole tutto il tempo e il regolamento potrebbe distanziare la lingua scritta da quella orale”.
Annastella Palasciano