Julian Assange: martire della democrazia o ingenua vittima del business?

Ne abbiamo sentito parlare fin troppo negli ultimi giorni, ha spodestato Avetrana dalle prima pagine dei giornali e telegiornali, che in Italia non è fatto di poco conto, chi è Julian Assange?

Il personaggio, fondatore del portale Wikileaks, nonché giornalista e hacker, appare come uno di quei mimi da teatro che in una frazione di secondo da dietro un piccolo spogliatoio si trasforma in qualcos’altro.

E allora ecco che passiamo in poco tempo dallo stupratore seriale, al paladino delle persone comuni contro i magnati del potere, al valido imprenditore che ha costruito una fortuna su una brillante idea; qual è la verità?

Innanzitutto spieghiamo in cosa consiste “Wikileaks”, la sua creazione: Wikileaks è il nome dato ad un sistema di raccolta e diffusione di documenti sensibili volto a smascherare eventuali comportamenti poco etici di organizzazioni, governi o aziende, con contributi di ex-spie, giornalisti o politici in pensione.

L’idea, come si può ben capire, è vincente e fa gola a molti e anche se l’etica del portale non prevede fini di lucro non è difficile intuire quanti soldi girino attorno a questo fenomeno, tra pubblicità e donazioni; ed è vincente soprattutto in un’epoca fin troppo democratica come la nostra, dove il connubio tra l’accesso alle tecnologie e il dilagare dei garantismi sfuoca quelli che sono i confini tra legale, illegale, privacy e gossip.

Il passo come però spesso succede è ben più lungo della gamba e la pubblicazione di materiale scottante è ovviamente indigesta agli organi di potere; Assange inoltre, con una mossa ampiamente studiata per quanto possa sembrare ingenua, ha deciso di uscire allo scoperto dopo i primi anni di attività dietro un alias, per far fruttare la popolarità che la sua creazione man mano andava acquisendo; non ha però fatto i conti con i tanti nemici procuratisi negli anni e si è quindi trovato ad esser braccato dai servizi segreti di molte nazioni.

Lo scandalo esploso di recente che lo ha fiondato in un batter d’occhio in tutti i telegiornali è dovuto a un incremento dell’attività del sito che dopo il 28 novembre 2010 ha lanciato un attacco mirato pubblicando migliaia di documenti segreti riguardanti l’operato degli Stati Uniti, bersaglio comodo e proficuo nel nuovo millennio se si vuole un po’ di appoggio.

Il suo indice di gradimento è alle stelle e si mormora che Rolling Stone Italia stia addirittura pensando di nominarlo “Rockstar del 2010” adducendo strampalate motivazioni per questo riconoscimento, un aneddoto che dà la misura di quanto conti la pubblicità che sta dietro al fenomeno Wikileaks piuttosto che l’ideale.

Il materiale per farne un martire della democrazia abbonda, interviste strappalacrime come quella pubblicata dal Times il 23 ottobre 2010 narrano di un Assange ormai costretto a vivere sotto perenne falsa identità ed in esilio forzato; i suoi avvocati non fanno altro oramai che cercare di convincere l’opinione pubblica di come l’accusa di stupro nei suoi confronti sia una montatura della CIA, molto probabilmente a ragione; il suo conto corrente si prosciuga velocemente tra spese per scorta ed alberghi e gli istituti elettronici come Visa e Paypal non gli fanno più credito, appartenendo loro stessi ai meccanismi di potere.

Tutto vero e tutto giusto ma chissà come ha fatto a non pensare, mente così acuta, che provocando i servizi segreti delle nazioni più potenti al mondo non avrebbe ricevuto rose e fiori in cambio, ma parecchi guai e al massimo lacandidatura ad uomo più influente del 2010?

Beninteso che non volesse proprio quello.

Gabriele Mariotti