Bersani apre ancora al centro. Sondaggi a picco: dove sta andando il Pd?

Il 12 Settembre Pierluigi Bersani chiudeva a Torino la festa del Pd tuonando contro i diffidenti e gli oppositori del partito: “Abbassi la cresta chi vuol darci lezioni di territorio o farci la caricatura, come fossimo un partito in pantofole. Abbiamo scarpette e scarponi e se ne accorgeranno.” E ancora, appena una settimana prima che Enrico Letta dichiarasse a La Stampa che il governo sarebbe caduto tra una settimana, lo stesso Segretario del Pd lanciava la sua idea del dopo Berlusconi: “Serve un breve governo con al primo punto una legge elettorale nuova che metta in condizione di sicurezza democratica le prospettive del Paese.” Un breve periodi di transizione che avrebbe permesso di risollevare l’Italia dalle macerie provocate da un decennio di “berlusconismo”.

Oggi Bersani è tornato a lanciare moniti e allarmi in un lungo comunicato sul Messaggero. E ricordare quello che dichiarava a Settembre è indicativo soprattutto di come le cose siano cambiate per il Partito Democratico. Sia nelle parole che nei fatti. Se a Torino si parlava di un Partito in grado di battere sul territorio la “concorrenza”, di un movimento che puntava ad una maggiore “equità e lavoro”, oggi il Pd si riscopre debole sul territorio e incapace di coinvolgere proprio quelle fasce di società in cerca di un punto di riferimento. Come rivela oggi il Fatto Quotidiano, un sondaggio in mano allo stesso Bersani mostra come il Pd, tra i giovani, raccoglie poco più del 20% dei consensi; ancor meno voti (al di sotto del 20%) si otterrebbero da operai, disoccupati e casalinghe.

Un dato preoccupante se si considera che il maggior partito di opposizione, in un momento di crisi per il Paese, dovrebbe avere gioco facile nel cavalcare i più diffusi malcontenti popolari. O quanto meno avrebbe la possibilità di preparare un’alternativa di governo dando voce alle richieste del proprio elettorato. E invece no: mentre dal sondaggio di Bersani risulta che l’asse Pd, Vendola, Di Pietro, Prc e Pdci otterrebbe il 52% dei voti, il segretario democratico sul Messaggero rilancia l’ipotesi di alleanze al centro. Traducendo: di fronte ad un elettorato alla ricerca di radicalità e di un totale rinnovamento come unica possibilità credibile per un’alternativa, Bersani risponde: ci rivolgiamo “alle forze dell’opposizione di centrosinistra e di centro. Riconosciamo le loro diversità, perfino nelle prospettive politiche. Ma se queste diversità prevalessero, potrebbe venirne per il Paese un altro decennio di deriva populista e di ulteriore scivolamento”.

Meglio il compromesso, dunque. Qualcosa di ben diverso rispetto a ciò che si prospettava a Torino: da un breve periodo di “riparazione” ad una intera legislatura nella quale si riunirebbero tutti i parlamentari che il giorno prima delle elezioni hanno detto di no a Berlusconi. “Nessuno – prosegue Bersani sul Messaggero – dovrebbe prendersi la responsabilità di negare il suo contributo ad una transizione costituente in nome di prospettive più limitate, personali o di partito. Ci sono forse altre strade? Davvero si può pensare di condizionare Berlusconi e la Lega?” Alla luce dei sondaggi la risposta dei suoi elettori sarebbe: condizionarli no. Ma almeno si potrebbe ripartire parlando d’altro.

Cristiano Marti