Referendum in Sudan: il Sud per l’indipendenza. E al confine ancora morti

Durerà fino al 15 Gennaio il referendum partito ieri nel Sud del Sudan, dove 4 milioni di cittadini saranno chiamati ad esprimersi pro o contro l’indipendenza dal Nord. Un appuntamento che già da tre giorni si sta caratterizzando con gli scontri al confine.

Chol Deng Alak, uno degli organizzatori del referendum, ha riferito ieri che nella regione di Abyei (proprio al confine tra nord e sud) ci sono stati almeno nove morti, provocati dalla guerriglia che vede protagonisti l’esercito regolare sudanese e le milizie fedeli al governo di Khartoum (Nord del Sudan). La tensione di questi giorni, però, sembra avere dietro delicate questioni territoriali: se, come da pronostico, dovesse vincere il sì all’indipendenza i due Paesi divisi avranno tempo 6 mesi durante i quali si discuterà delle nuove frontiere, della divisione del debito pubblico, dei proventi del greggio e soprattutto dello status di Abyei, regione ricca di petrolio e zona a più alto rischio di scontri.

In proposito Barnama Benjamin, ministro dell’Informazione del governo del Sud, ha cercato di raffreddare gli animi: il nuovo Stato – ha detto ieri – “non sarà ostile al nord Sudan. Ci stiamo preparando a lanciare colloqui per assicurare buon vicinato e risolvere le questioni principali attraverso negoziato, dialogo e cooperazione.” Intanto però, nel secondo giorno di consultazioni si sono registrate ancora violenze: 23 morti sempre nella regione di Abyei. Questo nonostante l’appello rivolto alle forze militari da parte del presidente del Governo del Sud Sudan Salva Kiir Mayardit, affinchè sia garantita la sicurezza del voto.

Difficile, però, che al confine si riescano ad evitare altri scontri: se il Sud dovesse staccarsi dal Nord, Khartoum perderebbe la maggior parte delle risorse petrolifere. In realtà un modo per evitare tensioni era stato trovato: chiamare i sudanesi di Abyei ad un referendum nel quale i cittadini avrebbero dovuto scegliere se unirsi al Nord al Sud. La data era stata fissata al 9 Gennaio, ma il disaccordo tra i leader dei due Paesi ha fatto saltare tutto.

Da qui la girandola di accuse sui morti di questi giorni, col l’esercito meridionale che accusa Khartoum di aver armato le milizie di Arab Misseriya, nonché di essere stato protagonista di scontri nello Stato meridionale si Unity, altra zona del Paese nella quale si produce petrolio, il vero nodo della questione: è vero – sostiene il giornalista Enrico Casale – “che la maggior parte delle riserve petrolifere sono al Sud, però il Sud non ha strumenti – cioè, non ha gli oleodotti, non ha le strutture – per riuscire ad esportarle. Quindi comunque dovrà far riferimento al Nord del Sudan.

Cristiano Marti