Yara: ricerche anche su Facebook

Le ricerche della tredicenne Yara Gambirasio non hanno sosta, ma a quanto pare nemmeno confine.

Se da una parte gli agenti della polizia, gli uomini della forestale, gli alpini e i carabinieri non hanno intenzione di arrendersi davanti al mistero che avvolge la scomparsa della giovane di Brembate di Sopra, c’è anche chi ha pensato di mobilitarsi nel mondo virtuale ma con obiettivi più che reali: ritrovare la tredicenne.

E’ il caso di un gruppo ideato sul social network Facebook e che registra già la bellezza di quasi 45.000 iscritti, cifra in continuo aumento. Questo luogo dal nome ben chiaro – Gruppo per trovare Yara Gambirasio – è nato il giorno dopo la notizia della scomparsa della piccola, avvenuta lo scorso 26 novembre.

Ad accostarsi al gruppo, tutti coloro che hanno sviluppato un sentimento di affetto nei confronti di una ragazzina che, anche se non la si conosce di presenza, è finita al centro delle attenzioni mediatiche di tutta la penisola, ma anche curiosi o semplici troll.

Nel gergo di internet, per troll si intendono quegli utenti che, il più delle volte tramite un’identità fittizia, interagiscono con gli altri navigatori del web attraverso messaggi provocatori, cercando di destabilizzare l’equilibrio stesso della comunità virtuale.

Ed è così che pure il Gruppo per trovare Yara Gambirasio non è rimasto indenne da questo fenomeno: infatti, accanto ai messaggi di affetto, ai desideri di rivederla al più presto – fatto che per la maggior parte degli iscritti significherebbe vederla apparire sullo schermo della propria tv -, e alle iniziative messe in moto nel tentativo di sensibilizzare chi, là fuori, sa qualcosa sul luogo dove si trova Yara, vi è anche chi è intervenuto sulla bacheca pubblica per inserire messaggi ironici, sarcastici, ritenuti da tutti fuoriluogo e per questo censurati.

E se spesso i troll si limitano soltanto a insulti fine a se stessi, capita anche che pur utilizzando toni forti essi vadano a toccare le corde di una morale comune fin troppo pronta allo sgomento collettivo e mediatico, ma che spesso cela un’ipocrisia di fondo di chi – forse senza nemmeno accorgersene – si accosta a vicende come quelle della famiglia Gambirasio, quasi fossero romanzi d’appendice, reality show o altro ancora.

Rimane certo il desiderio collettivo che una vicenda, che potrebbe finire nel peggiore dei modi, finisca invece con un lieto fine atteso già da troppo tempo, ma è anche giusto fermarsi a riflettere sul modo con cui i media, e le persone in genere, trattano queste notizie. Il caso della morte di Sarah Scazzi serva da esempio.

Simone Olivelli