E’ iniziato tutto il 17 Dicembre a Sibi Bouzid. Dove un venditore ambulante di 26 anni si è dato fuoco dopo la confisca del suo banco di frutta e verdura. Ieri una ragazza urlava in piazza che “i giovani sono senza lavoro, i nostri figli, i nostri padri, le nostre madri. Con una laurea in diritto si lavora per 40 euro al mese.” E la polizia da ormai un mese in quotidiano stato di allerta.
La Tunisia di questi giorni è un focolaio di proteste e scontri che ieri, per la prima volta, ha coinvolto anche la capitale Tunisi: 21 le vittime degli ultimi giorni secondo il governo; 23 secondo Amnesty International; 35 secondo Souhayr Belhassan, presidente della Federazione internazionale per i diritti umani. Una guerra dei numeri che il presidente Zine Abidine Ben Ali sta conducendo anche per celare la ferocia con la quale la polizia sta reprimendo la rivolta.
Sabato l’appello al Presidente della Repubblica fatto dal leader dell’opposizione Ahmed Nejib Chebbi, che ha chiesto il cessate il fuoco. Il capo storico del Partito Democratico progressista ha inoltre denunciato episodi di agenti che hanno sparato durante alcuni cortei funebri: “Faccio un appello urgente al presidente della Repubblica per chiedergli di far cessare il fuoco immediatamente per salvare la vita a cittadini innocenti e rispettare il loro diritto a manifestare.”
Appello caduto nel vuoto, dato che ieri le violenze hanno raggiunto anche la capitale: alcuni testimoni hanno riferito alla Reuters di scontri con la polizia nei sobborghi della città. Sempre a Tunisi, nel quartiere proletario di Ettadamen, alcuni abitanti hanno assaltato negozi e dato fuoco ad una banca, inseguiti dai manganelli delle forze dell’ordine.
Ma il fulcro delle proteste resta l’area centro occidentale del Paese: Lunedì a Regueb (265 km a sud di Tunisi) oltre 3.000 manifestanti hanno raggiunto in corteo la casa di Manal Boualagui, la donna uccisa Domenica da un proiettile della polizia. A Kasserine, sempre Lunedì, un gruppo di giovani avrebbe dato fuoco ad un edificio privato per protesta contro il massacro compiuto dal regime. “E’ il lavoro che manca – si sfoga un ragazzo di Sibi Bouzid. – La gente ha sempre parlato di corruzione in questo Paese ma ora sono certi che è un fenomeno cui non si può porre fine, ed è arrabbiata perchè si rende conto che la ricchezza prodotta nel Paese viene rubata da poche famiglie potenti ed influenti.” Una situazione che ha ormai condotto i cittadini all’esasperazione: se tutto era cominciato con un suicidio, Sabato Sibi Bouzid ha conosciuto il dramma di un secondo venditore ambulante. Anche lui si è dato alle fiamme.
Cristiano Marti