Pd: i veltroniani bocciano la relazione di Bersani

Come da previsione, la riunione di Direzione del Pd ha riservato molte e clamorose sorprese. Il segretario democratico, Pier Luigi Bersani, ha aperto i lavori invitando tutti alla “chiarezza” e ad esprimere la loro adesione al progetto illustrato attraverso una votazione. Una vera e propria sfida per il leader del Pd, che ha tentato di fare breccia nelle tante “anime” del partito. Senza riuscirci.

Dopo aver ascoltato la relazione scandita da Bersani, il Movimento democratico animato da Walter Veltroni, Giuseppe Fioroni e Paolo Gentiloni ha infatti annunciato di voler votare contro, aprendo di fatto una crisi interna di innegabile impatto. Non solo, in risposta alle tante critiche piovute loro addosso, Gentiloni e Fioroni hanno deciso di rimettere i loro incarichi dirigenziali all’interno del partito (sono rispettivamente responsabile delle Comunicazioni e dell’Educazione) nella mani di Bersani. Un gesto forte e irreversibile, che ha segnato forse la spaccatura più dolorosa.

Ma quali sono stati i punti nodali intorno ai quali si è articolato l’intervento del segretario del Pd? “I prossimi mesi – ha iniziato Bersani – decideranno per i prossimi anni. Sono alla ricerca del massimo di unità visto il passaggio delicato, ma serve anche chiarezza e chiederò che la direzione assuma una responsabilità attraverso un voto. Quella presente – ha continuato – non è una fase di semplice cambio di governo, ma una fase costituente, per far ripartire il Paese e risollevare la democrazia parlamentare”.

“C’è bisogno di alleanze forti tra le forze di centrosinistra e quelle di sinistra – ha notato il segretario del Pd – e tra le forze progressiste e quelle moderate di centro. Ovviamente non parteciperemo alla ristrutturazione del campo del centrodestra, ma dobbiamo parlare al Paese: saranno gli altri – ha precisato – a dover rispondere se ci stanno o meno”.

E sulla Fiat: “Gli operai e i sindacati – ha sottolineato Bersani – sono stati lasciati troppo soli e la vicenda Fiat non può essere vista come una guerra tra tifoserie“. Per questo, ha spiegato: “il referendum su Mirafiori non può essere oggetto di speculazione politica”. Una posizione troppo timida, che ha finito per scontentare un po’ tutti, a partire dai tanti che si aspettavano una difesa più muscolare del ‘sì’ referendario (tra questi in prima linea gli stessi Modem e il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino).

Non unanimemente apprezzato anche il passaggio sulle primarie: “La parola d’ordine – ha scandito il leader del Pd – è riformarle per salvarle. Si parlerà delle primarie in una grande assemblea, ma bisogna riconoscere che lo strumento si va logorando”. Neanche la battuta proferita per ironizzare sul populismo di Berlusconi è riuscita a sciogliere la “resistenza” dei più intransigenti ascoltatori di Bersani: “Noi – ha detto il segretario – il nostro partito non lo abbiamo chiamato ‘Popolo democratico’ perché non vogliamo il populismo. Lui (Berlusconi, ndr) invece vuole chiamarlo ‘Italia’, in attesa che magari lo chiami ‘mamma’“.

A freddare il leader del Pd ci ha pensato – come anticipato – Paolo Gentiloni: “Servono scelte più chiare – ha lamentato il democratico –  in particolare su Fiat e alleanze. Io avrei esclusa l’esigenza di un voto finale, Bersani tuttavia lo chiede e noi anticipiamo a questo punto la nostra decisione di votare contro. Chiediamo più chiarezza – ha insistito – sia su Mirafiori, che secondo noi è un accordo positivo, sia sul tema delle alleanze: è sbagliato continuare a inseguire il miraggio di un cartello elettorale che va da Vendola a Di Pietro fino al Terzo Polo“.

E ancora: “E’ giusto guardare avanti – ha ammesso Gentiloni – però dobbiamo farlo sapendo che l’accordo con il Terzo Polo non c’è e in ogni caso non ci garantisce sulla possibilità di iscrivere in questa ricerca dell’accordo la limpida forza riformista che noi rappresentiamo”. Distinguo troppo marcati per sperare che la posizione critica assunta dai veltroniani non porti con sé strascichi pesanti, rendendo ancora più instabile il già malfermo maggior partito dell’opposizione. A tutto beneficio del premier.

Maria Saporito